lunedì 31 dicembre 2012

Parole che scaldano


Non è facile dire di sè, quando ogni cosa pare insapore. Incolore. Finisci per ripeterti. O simulare. Mettere l'ennesimo strato di cerone bianco. Il pilota automatico di espressioni accettabili. Ti sembra di non poter sporcare ancora la serenità degli altri.
Ma gli amici vedono, colgono. E chiedono.
"Come stai oggi?"
"Hai dormito?"
Poi provano a proteggerti.
"Chiamami stasera prima di andare a dormire".
"Mangi in questi giorni?"

E ti scrivono, e le parole sono una spinta.
Compatisco le persone che sono state allontanate dalla loro vita, ma ho imparato a riconoscere chi invece sta vivendo la sua esattamente come vorrebbe. E' l'unico scopo: essere sicura che le persone che amo vivano la loro vita, ed io prima di tutti. 
Cerca di accettare il cambiamento e la sofferenza. 
Non combatterli, ti stanno avvicinando a te stessa. Ripetitelo ogni volta che stai male. 

O sono carezze.
Quando tutto si deprime è perchè quel tutto si è stufato di essere il senso che davamo al Tutto.
Abbiamo bisogno di vivere il tutto con un nuovo senso o di viverlo senza senso.
O di viverlo creando un nostro senso.
Quello che possiamo fare e' amare, amare quello che c'è, e ti prego di continuare ad esprimere quello che senti perche' renderlo silenzioso sarebbe ancora più doloroso.
 
Io non pensavo di essere amata così.

domenica 30 dicembre 2012

Ameno


L'idea di cercare un rifugio in cui svernare mi porta a visitare luoghi più che sperduti.
Ed ecco che oggi  il torrente Grivò in persona si scomoda per indicarmi la direzione. Piccola frazione di duecento anime nel Friuli collinare. Nessuna auto per strada, vecchie case di sasso.
Che poi, è un attimo incontrare qualcuno a cui chiedere con semplicità "sa mica se c'è una casetta in affitto da queste parti?", e ritrovarsi con un bicchiere di vino rosso in mano a parlare di semina e raccolto. E visitare un orto, un pollaio, un filare di viti, ascoltando storie, animosità, dispetti, allegrie, di una comunità che ancora difende il silenzio, l'ovattato nulla.
La casetta ci sarebbe. L'affitta una vedova, che però oggi era dalla sorella in Veneto. S'ha da tornare.
Don Camillo e Peppone non li ho visti. Ma la prossima volta, secondo me, li incrocerò.

sabato 29 dicembre 2012

Campagna silente


Tour in bicicletta negli anni '50.
Qui, in queste terre al confine fra l'Italia e la Slovenia, il tempo si è fermato, e tutto pare respirare lento.
Due aironi bianchi nel ruscello, un piccolo rapace sorvola il boschetto. Profumi di cibo, pane e cipolla. E a me la cipolla non va proprio giù, ma la corsa mi ha messo appetito e adesso mangerei volentieri anche quella.
Sotto il paese arroccato, i campi, i vigneti.
Fra le zolle, tutto tace.
Però mi piace pensare che questo silenzio sia preludio di un grande risveglio. Il più bello. Il più luminoso mai visto.

venerdì 28 dicembre 2012

Luoghi di vita

L'avevo detto a Noce che ci sarei andata.
Al cimitero, per fare delle foto.
Ora, la Nocetta studia e non aggiorna da un po' il blog, quindi non so se passa di qui.
Però io la racconto comunque questa mattina di sole bello e un po' farabutto. Perchè sorrideva, ti invitava a lasciare la giacca aperta, e poi non ti scaldava. Stava distante, sulle sue. E tu a guardarlo appesa, adorante.
Insomma sì, sono andata nella parte monumentale del cimitero. Viali e colonne. Cipressi e polvere. Il tempo, il tempo, dilatato e compresso assieme.
Ma non so come (anzi lo so, perchè forse è molto banale), ho attinto vita.
E ho pensato alle parole che da pochissimo mi ha scritto un'amica che ne sa. Ne sa, di Vita.
Oggi è il tempo di camminare, spalle e schiena diritta, sguardo avanti, a testa alta, fiera come chi ha un nobile cuore senza maschere e falsità. Eroica, solare, potente, generosa, ricca di una passione che diventa fuoco che illumina e riscalda.
Senza ignorare la misura, curando con attenzione il livello dell'orgoglio.
E cogliere l'attimo, e procurarti che l'attimo bello vissuto si dilati e si espanda all'infinito, per l'eternità, nel ricordo che scalda e rasserena, sempre vivo e presente.

Vedere, non solo capire, che non esiste solo il bianco e il nero ma milioni di tonalità dalla luce al buio.

giovedì 27 dicembre 2012

Bulli e...maestre


Corso sulla sicurezza negli ambienti di lavoro.
Ci accorpano, me e la collega, ad un corso già organizzato.
"In quale ditta?", chiedo al presidente.
"Autotrasporti", risponde ammiccando.
Ed ecco che stamattina ci siamo ritrovate sedute in mezzo a camionisti nerboruti, che prendevano posto increduli guardandoci di sguincio. Come direbbe Massimo.
Il relatore ci presenta, dice che siamo maestre, e i commenti si sprecano.
Ma al momento di fare il test di verifica, alle nostre spalle una voce sussurra: "maestre, potreste almeno suggerire!"
Risata generale.
Erano dispiaciuti che non ci unissimo a loro per la pausa pranzo. Nonostante fossimo maestre, e in quanto tali, nel loro immaginario, portatrici sane di supponenza e giudizio, alla fine dobbiamo essere sembrate piuttosto umane.

mercoledì 26 dicembre 2012

Sogni che diventano realtà


Ho sognato che andavo su e giù per una città tutta salite e discese. Una città scarna e asciutta, senza luminarie, fronzoli, colori. Un po'sovietica, autarchica, grigia. Ero stanca, affannata.
Ad un tratto, lungo la strada su cui si affacciavano porte e vetrine tutte uguali (legno stinto e scrostato), ho sentito un profumo di lievito e zucchero. Da dare alla testa.
L'ho seguito, e mentre lo seguivo, il sangue mi affluiva al viso. Prendevo colore.
Da un negozietto, veniva una luce gialla, tremula. Sono entrata. Era la bottega di un panettiere, deserta, gli scaffali vuoti.
Ma dietro all'unico vetro, campeggiava un dolce ai semi di papavero, glassato e brunito. Lucente.
Mi sono svegliata.
Sono andata in cucina ad impastare. Zucchero, farina, burro, uova. E semi di papavero, alla fine.

martedì 25 dicembre 2012

Spirito del Natale

Ecco, io volevo fare come Scrooge.
Ma senza patimenti, senza fantasmi incatenati o sospiri di vecchi Natali nella notte.
E ce l'ho fatta, ieri sera. A decidere che potevo non festeggiare. Che volevo curare le mie lesioni con cataplasmi e impiastri, solitaria, come una lupa dal pelo antracite.
Allora, mentre il mondo fuori consumava crostini e conversazioni (dalla finestra ho osservato le case dei vicini, le ombre dietro le tende, l'alternativo accendersi e spegnersi di luci in stanze a me sconosciute), ho allestito il mio rituale. Un bagno caldo, candele. Un accappatoio morbido, un panino al salame. Un film.

Oggi però, c'era la nonna che mi attendeva. E non so quanto tempo le sia ancora concesso, per raccontare le sue storie. Davvero non lo so. 
Così oggi raccontava e raccontava, e guai a distrarsi un momento.
"Zitta tu, non parlare per sotto", mi dice mentre chiedo a mia mamma se mi passa l'acqua. 
Abbozzo, mi scuso, le assicuro che stavo ascoltando con grande attenzione.
Essere redarguita dalla nonna, come fossi una bambina. Non ha prezzo. 
Vale più di cento Natali da Scrooge.

P.s. Avevo postato una foto di me, in veste Scrooge. Mi dicono che faceva pena (non sono bravissima a giocare con Paint). Allora posto il vero Scrooge. E' più bello :))

lunedì 24 dicembre 2012

Un sapore di ruggine e ossa

Ieri sera, colta da un'irrefrenabile voglia di cinema, ma irrimediabilmente sedotta dalle profferte del divano rosso e troppo stanca per uscire, ho deciso di regalarmi un film che da ottobre volevo vedere.
Mi faceva un po' paura questa trama così farcita. I combattimenti illegali e clandestini di Alì, il suo vivere di espedienti e truffe, la sua incapacità di occuparsi degli altri. La bella addestratrice di orche, che perde le gambe e sopravvive senza desideri e senza domande.
Invece è tutto misurato, nessun bisogno di colpire al cuore, di chiamare in causa struggimenti retorici.
Solo la ruggine che gratta.
E la bellezza, che si nutre di carezze.


domenica 23 dicembre 2012

Ci provo

Ti chiedi, a volte, se la normalità tornerà.
Se la smetterai di sentire dietro lo sterno il buco.
Se i gesti riprenderanno la loro consistenza di gesti. Mettere su il bollitore, scostare la tenda per guardare se piove, infilare gli stivali, dare due giri alla sciarpa a righe.
Sì, ti chiedi se potrai fare ognuna di queste cose senza pensare che sotto, bruci.
Dopo un lungo letargo, ieri mi sono decisa ad aprire un varco. Credevo mi sarebbe costato, però valeva la pena provare.
Insomma, il buco è ancora lì.
E sotto, brucio sempre.
Ma queste persone, le stesse che mi hanno tenuta negli occhi nelle ultime settimane, mi restituiscono una Gioia che prova a sorridere. Ad ascoltare. A raccontare.
Che versandosi il vino mette in pausa il dolore, ed è solo mano ferma, bicchiere freddo, bottiglia verde. Nelle cose. Nel qui ed ora.

sabato 22 dicembre 2012

Contrasti


Oggi un passaggio dal robivecchi, per qualche foto.
Il titolare, sulla cinquantina, è un concentrato di vita. Ha scelto questo lavoro, lo fa con trasporto. Voce importante, presenza scenica, fine osservatore dell'umanità.
Capisce subito che traccia annuso e mi porta cose che ritiene interessanti. Un atlante del 1800. La foto inconiciata di una bambina triste. Un'antica bilancia delle Poste.
Un ragazzo entra, saluta, e spulcia. Dice che sta cercando un'ispirazione per i regali di Natale. Saggio, non ci avevo pensato. Ridare lustro ad uno di questi oggetti e farlo circolare ancora.

Siccome sono dimagrita, mi tocca cercare un paio di jeans che non cadano. 
Jeans. Quella roba di cotone blu, che il signor Strauss propose ai cercatori d'oro nel 1853. 
Uno scampolo di stoffa denim con cui coprire le gambe.
Entro in un negozio che propone diversi modelli dei suddetti.
Li individuo subito e li provo: carini, semplici, dal sapore vagamente country. Mi stanno bene. 
"Quanto vengono?", chiedo al commesso.
"180 euro".
Lo guardo incredula per un attimo, sorrido, glieli rendo.
"No, scusa, è una questione di principio. Non possono costare così tanto".
Fa spallucce, mi guarda come se davanti gli si fosse palesato l'Angelo Vendicatore. O la regina dei barboni, con tanto di manuale del perfetto consumatore.

venerdì 21 dicembre 2012

This is not the end


A mezzogiorno a scuola eravamo nel pieno delirio festa-di-Natale-con-pizza-panettone-e-mostra-dei-lavori-appesi-ovunque-con-lo-scoth-che-si-stacca.
Ma per un attimo ho guardato verso il cielo. Magari lo avrei visto in faccia il meteorite, prima che si abbatesse su di noi. Invece niente, escluso un sole freddo.
Scambio quattro chiacchiere con un papà: mi dice che l'ora dell'Apocalisse è incerta. Ma presumibilmente, avremmo dovuto attenderla fino alle ore 15.
Orbene, adesso sono le 17. 
Quindi, bypassata la fine del mondo, mi aspettano la cena della vigilia e il pranzo di Natale. Prendo atto, sono quasi pronta.
Ma il mio Capodanno al cinema, non si tocca. Che poi, qualcuno si è fatto coinvolgere, perchè non è così male uscire dalla sala a mezzanotte, buttarsi sul divano e disquisire di buoni propositi e progetti, sorseggiando un po' di Prosecco.
E magari, in sottofondo, parole cantate, come queste, da ascoltare in religioso silenzio.
  
Canterò le mie canzoni per la strada
ed affronterò la vita a muso duro
un guerriero senza patria e senza spada
con un piede nel passato
e lo sguardo dritto e aperto nel futuro.
Non so se sono stato mai poeta
e non mi importa niente di saperlo
riempirò i bicchieri del mio vino
non so com'è però vi invito a berlo
e le masturbazioni celebrali
le lascio a chi è maturo al punto giusto
le mie canzoni voglio raccontarle
a chi sa masturbarsi per il gusto
.

giovedì 20 dicembre 2012

Abbracci


Sono labile in questo periodo, lo ammetto. Ma questa cosa degli abbracci gratis mi è piaciuta tanto. Così tanto da avermi commossa.
L'abbraccio è la manifestazione d'affetto che prediligo, in assoluto. Dice subito le cose in modo chiaro, un abbraccio. 
Tengo le distanze. Ti voglio bene. Ho paura di questo contatto. Sei importante per me. Mi dispiace che tu stia partendo. Sono felice che tu sia qui, adesso.
Un abbraccio stretto, intenso.
Un abbraccio di quelli così, e non fai altro che stare.
Un abbraccio di quelli in cui le mani, sulla schiena, si muovono appena un po', senza fraintendimenti. 
E senti che non sei solo. E senti che il tuo corpo ha un peso, un involucro. 
E senti che sei vivo.

mercoledì 19 dicembre 2012

Posta e Gatti


In Posta.
Si annuncia un'attesa di almeno mezz'ora, mi pento di non aver portato il libro.
Troppa gente per i miei gusti, in questo periodo mal tollero il chiasso, i luoghi affollati.
Mi rassegno, e appoggiata al muro osservo la moltitudine di volti, stanchezze, colori.
Arriva un tale, prende il suo bigliettino col numero. Si siede.
"Scusi, può avvisarmi quando arriva il mio turno? Da qui non vedo il display. Ho il 273".
"Guardi, io ho il 272, quindi è subito dopo di me".
"Bene, grazie".
"Prego".
Dopo un attimo si alza, si avvicina. Ha altro da dire.
"Lei è di Reana (paese alle porte di Udine n.d.r.)?"
"No".
"Neanch'io".
Mi viene da ridere ma evito, non vorrei incoraggiare.
"E' che ha un viso noto. Che lavoro fa?"
"La maestra".
"Ah, bello. Io sto facendo domanda per il concorso alle Poste. Ho lavorato a tempo determinato in Posta".
Annuisco, taccio. Mi guarda meglio, più da vicino.
"Ecco chi mi ricorda! Una collega che avevo all'Ufficio Postale! Eravamo come gatto e..."
"Come gatto e cane?", lo interrompo, cercando di concludere in fretta.
"No, no", dice lui ridendo, "eravamo come gatto e gatto!"
Bip. Lampeggia il numero 272. Saluto, mi allontano.
"Buon Natale", dice lui sollevando una mano.

martedì 18 dicembre 2012

Non siamo tutti uguali


Oggi pensavo alla maestra Anita. La mia.
A com'era facile insegnare quando il bianco era bianco e il nero era nero. 
Anita era uno scricciolo di donna che teneva in scacco venticinque indiavolati. La temevamo e godevamo di quella carezza ruvida e misurata, tanto rara quanto preziosa.
Mi capitava, sognatrice in preda a pindarici voli, di costruire mondi paralleli sotto il banco. Pesci di carta, omini di gommapane, vele rosate all'odore di Big Babol, tappi di pennarello che infilavo nell'indice e nel medio per scarpettare ad una festa danzante.
La Barbara, un giorno, fece la spia.
"Maestra, Gioia gioca sotto il banco".
Anita, tenne per un po' i suoi occhi neri nei miei, celesti.
"Gioia", disse severa "di cosa stavo parlando?"
"Del fiore, maestra. Che è formato da stame, stigma, antera, e stilo".
Anita trattenne a stento un sorriso.
"Va bene", disse "continua pure a giocare". 
Piccola Anita. Moderna. Lungimirante. Capace. Pioniera.

lunedì 17 dicembre 2012

Amarsi


Quando mi amai davvero, compresi che in qualsiasi circostanza ero nel posto giusto e al momento giusto. Fu a quel punto che riuscii a rilassarmi. 

Quando mi amai davvero, riuscii a percepire che la mia angoscia e la mia sofferenza emotiva, non sono che segnali che indicano che sto andando contro alle mie proprie verità. 

Quando mi amai per davvero, smisi di desiderare che la mia vita fosse differente, e cominciai a vedere che tutto quello che succede contribuisce alla mia crescita. 

Quando mi amai per davvero, cominciai a comprendere perché è offensivo cercare di forzare una situazione o una persona, solo per raggiungere quello che desidero, pur sapendo che non è il momento o che la persona (alle volte io stesso) non è preparata. 

Quando mi amai per davvero, cominciai a liberarmi di tutto quello che non fosse salutare: persone e situazioni, tutto e qualsiasi cosa che mi spingesse verso il basso.

Quando mi amai per davvero, smisi di preoccuparmi per non avere tempo libero e desistetti dal fare grandi piani, abbandonai i mega-progetti del futuro. 
Oggi faccio quello che trovo corretto, quello che mi piace, quando voglio e al mio ritmo.

Quando mi amai per davvero, smisi di voler avere sempre ragione e, in questo modo, sbagliai molte meno volte. 

Quando mi amai davvero, smisi di restare a rivivere il passato e di preoccuparmi per il futuro. Ora, mi mantengo nel presente, che è dove la vita si manifesta. 
Oggi vivo un giorno alla volta. 

Quando mi amai davvero, compresi che la mia mente può tormentarmi e ingannarmi. Ma quando io la colloco al servizio del mio cuore, è una valida alleata. 

Non dobbiamo avere paura di metterci in discussione, persino i pianeti si scontrano e dal caos nascono le stelle.

Charles Chaplin

domenica 16 dicembre 2012

Auguri?


In Kirghisia nessuno lavora più di tre ore al giorno e il resto del tempo lo dedichiamo alla vita.
Quando un qualsiasi cittadino compie i 18 anni gli viene regalata una casa. 
E se qualcuno desidera fare l’amore, mette un piccolo fiore azzurro sul petto in modo che tutti lo sappiano.
Lettere dalla Kirghisia (S. Agosti)

Un numero sconosciuto lampeggia sul cellulare.
"Ciao, non ti si sente mai! Quando ci vediamo per gli auguri?"
 Ah, è lei. E già questa cosa degli auguri mi va giù storta.
"Non so, dimmi tu..."
Rassegnata.
"Allora. Lunedì ho la cena di Natale coi colleghi. Martedì vado a vedere dei regali, ancora non ho preso niente. Che palle con 'sti regali. Mercoledì mi tocca cercarmi un vestitino per Capodanno, che non mi va bene niente di quello che avevo. Giovedì offro un tè natalizio ai vicini di casa. Un vero stress. Venerdì prove con il coro. Due ore a sudare. Sabato mi tocca fare la spesa, altrimenti ho il frigo vuoto per Natale. E domenica, è già l'antivigilia!"
Senso di oppressione e nausea.
"Cavolo, sei impegnatissima. Allora è meglio se ce li facciamo al telefono questi auguri.".
"Dici? Ma sì dai, che forse hai ragione".
"Auguri allora. Riposa".
"Di riposare non se ne parla! Spero di uscire viva da queste feste. Comunque, auguri anche a te".
Bene. E' finita.

sabato 15 dicembre 2012

Grazie ricevute


Il salotto della nonna è un piccolo museo silente di oggetti sacri e profani, di centrini inamidati e vecchie foto. Come tutti i salotti poco vissuti, odora di chiuso e freddo.
Questo Natale non si aprirà per ospitare il chiassoso parentame festante. La mamma che va su e giù dalla cucina con un vassoio, le bimbe di mia cugina che si rincorrono, il piatto degli antipasti che passa di mano in mano, un libro ricevuto e commentato, il cellulare che squilla per un augurio da lontano.
Pare che la casa sia troppo vecchia, che il pavimento rischi di cedere.
In realtà la nonna è stanca, mal tollera di essere più in salute del suo unico figlio maschio, da sempre così amato. Non se ne fa una ragione, trova profondamente ingiusta la grazia concessale: lei legge, racconta, ha delle opinioni, ascolta la radio, risponde al telefono, riflette. 
E non sa per quanto tempo, suo figlio potrà ancora farlo.

venerdì 14 dicembre 2012

Bolle


Le piccole cose sono le prime a sfuggirti, quando stai male.
Il piacere di rimanere qualche minuto sotto il piumone al caldo, dopo aver tacitato la sveglia.
Accendere la radio appena sali in auto, la gioia di trovare proprio quella canzone. Concederti il lusso di cantarla e di agitarti sul sedile, anche se sono le otto del mattino, hai ancora la voce macchiata di sonno, e c'è traffico.
Leggere a tavola, qualche briciola di pane fra le pagine, il bicchiere colmo che non ti decidi a portare alla bocca, perchè vuoi sapere cosa succede, nel prossimo capitolo.
Uno spicchio di mandarino fra la lingua e il palato. 
Trovare nella casella di posta qualcosa che ti parla agli occhi. E con gli occhi rispondere.
Ma ecco che appena stai male, le coordinate minime saltano.
Dividi il mandarino a metà, lo addenti. Lasci il libro aperto sulla tavola mentre sposti le briciole col dito.
Poi però, le piccole cose, sono le prime a tornare in superficie. Una alla volta, lente, come le bolle d'aria di un pesce azzurro nell'acquario. Plup. Plup. Plup.
E ti ritrovi in una sala d'aspetto, a scrutare le altrui vite nel condominio dirimpetto, pregustando (un lieve sorriso ad animarti il volto) una storia che potresti raccontare. Plup.

giovedì 13 dicembre 2012

Adulti confusi


Ho in classe una bimba. Una bimba che pare far capolino da un libro, o semplicemente giungere per vie misteriose ai nostri quotidiani affanni. Proviene da altri luoghi, forse anche da un altro tempo.
L'aspetto campagnolo e verace, i capelli biondi e incolti, quell'aria di chi può permettersi i sogni. Ma che allo stesso tempo vive ben radicato e solido, i sensi allerta, il corpo in posta.
Lei sa dove sono le cose. Lei osserva i compagni, raccoglie in un retino umori e scontenti. Lei ascolta, soppesa, economizza gesti misurati, come una formichina farebbe con la sua ultima briciola.
M'incanto quando parla, e spiega. La piccola mano che porta una ciocca dietro l'orecchio, le espressioni acerbe che emulano. Occhi al cielo, alzata di spalle, il sorriso invita.
Ecco, adesso pare che il papà si sia stancato di fare tanta strada ogni giorno per la scuolina "speciale". Non vede i risultati, dalla sua bimba non abbiamo estratto il genio.
Ma come? Non la vede? Non riesce a vederla, quella donna in miniatura? Curiosa, viva, accesa, capace di spostare gli oggetti come mai, mai ad un bambino ho visto fare. Leggerezza e cura. Rispetto e misura.
"Il papà vuole farmi cambiare scuola", mi dice ieri, e mi interroga dal basso, attende. Si chiede se ho un qualche peso io, nel suo piccolo mondo di adulti confusi.
No, mi dispiace Eli. Valgo davvero troppo poco.

mercoledì 12 dicembre 2012

Festeggiare


E a Capodanno, che fai?
No, non chiedetemelo.
A Capodanno vorrei andare al cinema. Che ne so, allo spettacolo delle 22. Se non fa troppo freddo, vorrei andarci in bicicletta. Un film bellino, di quelli che ti danno da pensare, ma non troppo. Poi a casa, mangiare un pezzo di pecorino buono, con la mostarda.
Ecco, mi compero la tisana all'arancia e cannella, per festeggiare il Nuovo Anno. Dalla finestra del salotto guardo i fuochi gialli e blu, e sorseggio l'infuso dalla tazza mia, quella con le Matrioske.
Niente cotechino e panettone. Niente agnolotti e lenticchie. Anche se dicono che mangiarne una forchettata porti assai bene.
Allora io assaggerò un po' di grazia e leggerezza. Forse, chi le assapora a Capodanno, le assapora tutto l'anno.

martedì 11 dicembre 2012

Misure


Non ho mai dosato in vita mia.
Con le emozioni, intendo.
Tante lacrime, tanto amore, tanta gioia. Tanto struggimento, tanta allegria, tanta insonnia.
Poco filtro, forse. Un'incontinente.
Adesso ci sto provando, vorrei imparare. A misurare, pesare. Strotolare il metro da sarta, gli spilli in bocca, e stabilire con ciglia aggrottate dove stringere, accorciare. Dove tagliare. Dove invece dare volume, imbastire una pence, aprire uno spacco.
L'equilibrio delle forme, dei pieni e dei vuoti.
Resterò sempre un po' incontinente temo, lo dice il mio sorriso. Ma un'incontinente che trattiene.

lunedì 10 dicembre 2012

Le ali della libertà

Reclusioni di corpi e di menti. Ma sanno di vento. Di libertà.

Le storie di Marilde Trinchero mi colpiscono in questi giorni come fendenti secchi, sordi.
Gabbie.
Scegliamo le nostre gabbie o sono loro a sceglierci? A chi consegnamo le chiavi della gabbia, a quale causa, persona, dipendenza, ricordo?
Gliele avevamo consegnate noi stesse? Per ingenuità, per un malriposto concetto di amore, per alleggerirci poichè talvolta sono pesanti da tenere?
Può essere. Ma non importa. Ciò che conta è riprendersele.
Storie di vite recluse, ma anche di speranze, perchè c'è sempre un volto, una voce, o un varco, ad indicarci l'uscita, la direzione, il ritaglio di cielo.
In chiusura Marilde parla di resilienza. La capacità di un materiale di resistere agli urti senza spezzarsi.
E' la tenacia che, appigliandoci a qualcosa (un'idea, un sogno, un amore, un progetto), ci fa dire "persevero" e supero questa barriera, spezzo quella rete che stringe, attraverso quel varco stretto, piego quella sbarra che chiude.

Brava, profonda, intensa. Ma non lo dubitavo Mari, ci sei tu, in ogni singola parola. E un po' ci sono anch'io.
Grazie.

domenica 9 dicembre 2012

Caserme e lettura

L'autunno e l'inverno non mi garbano, ma i cieli freddi dicembrini riservano sorprese. Così stamattina ho aggiunto qualche scatto alla mia collezione. Quello di oggi era blu, blu cobalto. Blu incoraggiante.
Gli interni della vecchia caserma mostrano quanto possa essere spersonalizzante un luogo che plasma e piega. Quanto si chieda a chi ne varca la soglia, di dimenticare sè stesso e i suoi colori. Di spegnersi.

Orfana di Eshkol Nevo, che dice cose come il tempo mi sudava addosso (e ti pare insostituibile, irrimediabilmente), ho invitato Mark Haddon a tenermi compagnia. Lui mi piace, e spero dirà cose intelligenti ma vado in fiducia, perchè sono quattro anni che non lo incrocio.
Nel frattempo, prima di farlo accomodare sul divano con una tazza di tè, mi dedico a due libri che mi stanno a cuore. Libri scritti da amici, che tenevo lì al caldo per giornate fredde come questa.

sabato 8 dicembre 2012

Noiosa

Quanta neve. Apre il cuore. 
Ho indossato gli stivali buoni e sono uscita. Come direbbe Ada Monroe, mentre aspetta il suo Inman, a Cold Mountain. 
Cammino, non sento freddo.
Su un cumulo di tegole e neve è posato uno specchio. Macchiato, antico. Sullo specchio, un altro specchio, forse l'anta di un armadio.
Gioia piccola mi sorride dal riflesso grigio e sfumato. Ha le guance arrossate, gli occhi accesi.
"Ehi, dove vai?", chiede petulante.
"Passeggio", rispondo, "vorrei fare qualche foto".
"E il pupazzo di neve?"
"No, non ne ho proprio voglia".
"Sei noiosa Gioia grande. L'hai almeno toccata, ti sei bagnata le mani?"
Mi scappa da ridere. Però mi chino, tolgo i guanti, sprofondo le dita nel bianco e freddo. Respiro, rimango.
Alzo gli occhi, la cerco.
"Contenta adesso?", le chiedo. 
Non c'è già più.

giovedì 6 dicembre 2012

No, niente zucchero, grazie...

Sto preparando i miei alunni al Natale.
Anche da noi, anche nella scuolina in mezzo al nulla, arriva Natale. E io che non lo vorrei quest'anno. Ma ci sono questi occhi carichi di attesa e di vita, a chiedermi due stelle, qualche lustrino. Almeno per finta.
Eccola, Somewhere over the rainbow, cantata da una stucchevole Judy Garland, mentre ci guardiamo un Mago di Oz, così seppia e patinato che pare scrollato da una gonna vittoriana.
No, non reggo tanta dolcezza.
Allora mi imbatto nella meravigliosa versione dei Ramones, cattiva e dissacrante. La faccio sentire ai bambini, che mi guardano complici. Ed è un attimo: un sorriso che scopre i denti, passa di bocca in bocca.
"Troppo bella maestra. Ce la fai ballare?". Certo.
Anche se il testo, a ben vedere, arriva sempre dove deve arrivare.

One day I'll wish upon a star 
And wake up where the clouds are far behind me  
Where troubles melt like lemon drops  
Away above the chimney tops That's where you'll find me 




Sì, fra l'altro, ventimila visualizzazioni raggiunte senza capire perchè. Però grazie. Grazie a chi c'è e legge, grazie a chi si fa leggere.

mercoledì 5 dicembre 2012

Departures


Departures è un film che porta pace. La morte e la dolcezza. La cura di corpi amati, come gesto che concilia e rende possibile l'elaborazione del lutto.
Daigo, il giovane protagonista, rinucia al suo violoncello e si ritrova a vestire e truccare cadaveri per un’agenzia di pompe funebri.
C'è poesia. 
Dice Daigo:
Nell'antichità, quando gli uomini non avevano la scrittura, per comunicare, cercavano un sasso la cui forma esprimesse i loro sentimenti e lo inviavano all'altra persona. Chi lo riceveva, dalla sensazione al tatto e dal peso capiva i sentimenti di chi l'aveva inviato. 
Ci sono momenti in cui le parole pesano. Consegnare l'emozione sul palmo della mano, lasciare che sia l'altro a leggerla. E avere la certezza, sollevando gli occhi, che le parole non farebbero di meglio.

martedì 4 dicembre 2012

Ascesso



Si muoveva come raccogliendo ogni volta pezzi di se stessa che non erano destinati a rimanere insieme. Il suo corpo sembrava il risultato di uno sforzo di volontà. 
Mr Gwyn (A. Baricco)

Dal medico, in sala d'aspetto.
Di solito leggo un libro, ma oggi non mi riesce.
"Sa cosa penso?", chiede una signora anziana alla vicina, con cui sta discorrendo di figli, vita, dolori dell'anima.
Questa, la busta gialla dei raggi posata sulle calze spesse, annuisce, in attesa.
"Penso che quando uno sta male, deve concentrarsi su quello. Inutile dire che ci si deve distrarre. Perchè se un ascesso ti duole, non senti altro. Allora provi a prendere un pastiglia, metti il ghiaccio, ma non c'è niente da fare. L'ascesso deve maturare, essere inciso e poi verrà il tempo della guarigione. Ti tieni il tuo male, finchè passa, è tutto lì".
Caspita.

lunedì 3 dicembre 2012

Il bagaglio

Un'ora, di orologio. Alla finestra.
A chiedersi guardando il giardino, nel sole freddo, quale fosse il senso.
La tazza di tè fra le mani, le piccole volute ad appannare una superficie nebbiosa, un oblò al contrario. Guardare la luce attraverso il vapore condensato.
No, un senso non c'era. Perchè cercarlo?
Pensò a quello che aveva infilato. Nella cartella rossa, nel bagaglio a mano, nel fagotto in spalla, nella tasca del cappotto.
Briciole. Ma lucenti.
Sassi. Ma di zucchero.
Chiavi. Ma dorate.
Monete. Di luoghi e paesi sconosciuti.
Grazie. Grazie. Lo pronunciò ad alta voce, appena un po' rauca. Ne farò tesoro.
Allora si disse che sì, poteva farcela. Poteva raccogliere ogni cosa, esporla in bell'ordine sul tavolo scuro, e attendere. Che le chiavi spalancassero la porta giusta, che le monete potessero pagare il cocchiere, che un raggio di sole colpisse le briciole illuminandole, che la sua lingua leggera finalmente accarezzasse un dolce sasso.

sabato 1 dicembre 2012

But give me to a rambling man


Ma datemi a un giramondo
Che si sappia per sempre che ero quel che sono.


È divertente come i primi accordi che ti vengono in mente
Sono le note minori che ti suonano una serenata
Ed è difficile accettarsi come qualcuno che non si desidera
Come qualcuno che non si vuole essere


Oh, datemi a un giramondo
Che si sappia per sempre che ero quel che sono.

Particolari


Ho raggiunto il centro in bici, e ho fatto bene. Freddo (guanti e sciarpa, oggi non potevo evitare), ma l'aria non pesa, scende giù e risale pulita.
Rientrando, dopo l'ottimo cappuccino chiacchierato e proficuo, ho zigzagato attraverso uno sciame di bimbi in uscita da scuola. Genitori in affanno fra zaini e berretti.
Proprio lì, ho intravisto qualcosa di noto. Un po' come nel gioco enigmistico in cui il corvo parlante ti invita a trovare l'oggetto: fra i tanti particolari insignificanti, un elemento spicca.
Eccolo Mario, il figlio del macellaio. Avevo dodici anni, lui almeno venti. Io innamorata persa, lui che beatamente mi ignorava. Io goffa e lunghissima, lui bello, impossibile e scanzonato.
Ebbene, ho visto il Mario che caricava in auto il suo figliolo, ma del Mario c'era rimasto poco. Le spalle appena curve, il volto spento, un'aria vinta. E non è questione di anni, di età. Ma di piglio. Mario oggi aveva il piglio di uno che ha perso qualche battaglia.

La signora che vive in fondo alla via, non esce più. In corsa verso casa  ho visto la sua badante che stendeva i panni in giardino. Ma di quel piccolo, anziano donnino, non v'è traccia.
E dire che fino a qualche anno fa era il terrore di ogni vicino in possesso di buone facoltà mentali. Perchè si appostava, attendeva al varco, per poi, con balzo felino, ghermirti impedendoti ogni azione, replica, difesa.
Mezz'ora di sequestro, non un minuto di meno. 
Allora era tutto un gioco di scarti, evitamenti, fughe.
Ora, quasi ne sento la mancanza.