Sandro non era bello.
Dodici anni, un ciuffone castano, le ginocchia perennemente sbucciate.
Ma quanto mi piaceva.
Sorrideva un po' storto, come avevo visto fare solo a qualche divo hollywoodiano. E domava la sua bici cross con scioltezza. Senza una mano, senza due mani. Elargendo sorrisi. Quando impennava si assicurava che guardassimo. E noi guardavamo, eccome.
Mi regalarono un bracciale di fili colorati, uno dei primi in circolazione. Un bracciale dell'amore, credo si chiamasse così. Se fossi riuscita a farmelo allacciare al polso dal prescelto avrei suggellato un sentimento perfetto e romantico. Eterno.
Cominciai con gli appostamenti. Casualmente ero sempre in traiettoria. Mentre usciva di casa, quando si recava del giornalaio, di sera, al suo rientro.
Ma non osavo. Sospiravo.
Allora optai per la strategia dei simili. Come disse Hahnemann, tutte le affezioni dinamiche sono regolate dal principio di similitudine. Esisteva forse un'affezione più dinamica?
Lucidai la bici rossa del nonno, una bici da uomo troppo grande e troppo alta per me. Ma di grande effetto.
E sortì l'effetto.
In bilico sui pedali, catturai l'attenzione del giovane biker. Che suggellò.