domenica 30 settembre 2012

Un bacio


Sbagliò a dirlo. Le parole ci legano, imbavagliano i gesti, a volte.
Perchè lui le disse solo: "peccato che stasera non sei venuta, avrei voluto baciarti". Solo questo.
Che poi, non glielo disse davvero. Non come si deve, una lettera via l'altra a formare parole pronuciate con le labbra. No. Glielo scrisse. Glielo digitò, febbrilmente.
Ciao Claudia. Peccato che ieri sera non sei venuta, avrei voluto baciarti. A presto, spero.
Perchè aveva disegnato così bene quel bacio, così nitidamente (punti di contatto da cui attingere calore, il pollice sulla guancia, l'indice e il medio alla base del collo), che non poteva lasciarlo lì, relegato e costretto nella materia grigia. Che quell'immagine, di grigio non aveva nulla. 
Poi attese. E le attese non erano il suo forte. Provò a riordinare un cassetto, a riporre alcuni libri letti (dal grande al piccolo o dal piccolo al grande?), a sfogliare una rivista. 
Mezz'ora, forse più.
Buongiorno Paolo. Mi cogli di sorpresa. Era una battuta?
No. Non lo era. 
Perchè aveva ridotto tutto alle parole? Perchè aveva voluto avvicinarsi, sentire il suo odore, infilando il desiderio fra un avrei e uno spero? Non sarebbe stato meglio attendere, solo attendere, intimando alle parole il silenzio, quello delle sorprese, delle cose belle.
E senza l'oscurare delle parole, le mani avrebbero trovato la strada, precise. 
Il pollice sulla guancia, l'indice e il medio alla base del collo.
Sì, era una battuta Claudia! Ti sembro tipo da baci notturni? :))

sabato 29 settembre 2012

Global market

Doveva essere un sabato mattina dedicato alla fotografia, ma il cielo non concilia.
Così passeggio per il mercato, la borsa a tracolla da un lato, la reflex dall'altro. Dormiente.
C'è sempre qualche dettaglio però. I piccoli granchi dorati nel secchio bianco, i bottoni che paiono caramelle. E le caramelle che paiono bottoni.
Tra le bancarelle le etnie si confondono, gli idiomi si rincorrono. Come a Bologna, quando il bambino coreano e quello senegalese si apostrofavano con accento emiliano.
Un mercato di tutti.
Prima di raggiungere l'auto, fotografo un artista di strada, che si accompagna ad un burattino che pare vivo.
Mi chiede se sono italiana, forse i capelli biondi confondono. Qui ci sono tanti autriaci. Annuisco, già incamminandomi.
Poi però mi dispiace, di non aver chiesto, di non aver chiacchierato, di non avergli offerto una birra. Di non aver accolto la sua storia. Peccato.

venerdì 28 settembre 2012

De Gregori


Avevo più o meno otto anni, quando seguii mio padre e le sue inquietudini, su per la riva di San Giovanni, a Trieste. Ex ospedale psichiatrico. Riconvertito a covo di idee, ideali e bandiere rosse.
"Dove mi porti papà?"
"C'è un concerto".
"Con i violini?"
"No, canta un poeta".
E io, qualche metro più indietro, faticavo a seguire quelle gambe lunghissime.
Ho un ricordo sbiadito e luminescente di quella sera. Ma l'emozione, quella degli accendini, e della voce, che può unirsi ad altre, producendo potenza e calore, l'ho sempre conservata.

Adriana posta sul blog una sua nota e bellissima canzone. Non ho una particolare inclinazione verso i cantautori, tendono ad assecondare ed accarezzare la mia propensione a scavare (non si ereditano solo il colore degli occhi, o il taglio degli zigomi). Ma trovo questo pezzo struggente.


Bell'amore
Non te ne andare
Tu che conosci le lacrime
E le sai consolare
Bell'amore Bell'amore
Non mi lasciare
Tu che non credi ai miracoli
Ma li sai fare
Bell'amore Bell'amore fatti cantare
Nella pioggia e nel sole fatti cantare
Paradiso e veleno, zucchero e sale
Bell'amore Bell'amore fatti consumare
E vieniti a coprire
Vieniti a riscaldare

giovedì 27 settembre 2012

Lasciale parlare



 

Ricevo il link di un artista toscano (Paolo Ventura), che mi viene presentato così:
Nelle sue foto l'abbandono è fissato in microscopici set, dove il vero/falso non esiste più.
Posso resistere a tale richiamo?
E' vero, sono emozionabile. Magari pure labile.
Ma, in una giornata come questa, in cui i palpiti sembrano chiedere più spazio, più tempo, cosa spalanca la cassa toracica?
Le immagini. Che ti impongono un silenzio assorto. Una distanza dal tangibile.
Le ho guardate senza sentir nulla.
E pian piano, sono state loro a sussurrare. Di nebbia, di luce, di scuro.
Che roba.

mercoledì 26 settembre 2012

Bottles


Riporto un pezzo molto interessante, dal blog di Marco Valenti.

Ciascuno di noi è una bottiglia. Più o meno pieno di cose, da fare e da dire, di bisogno di esternare e comunicare con le altre bottiglie.
Nella formazione cresciamo, da bottiglietta da trentatré centilitri a fiasco da un litro o da un litro e mezzo. Quella è la capacità. Capacità di contenere, di produrre, di offrire, di relazionarsi col mondo liquido che ci circonda.
........ 
Nella fretta si può commettere l’errore di non considerare il rapporto tra la bottiglia e la quantità in essa contenuta.
Se sei svuotato, sei una bottiglia da un litro ma ne contieni mezzo, svogliato e apatico guardi nel vuoto senza riuscire a trovare ragioni di azione può darsi che tu sia un po’ depresso.
Se invece avresti cento cose da fare e da dire ma una oppressione di vario genere ti impedisce di agire come vorresti non sei depresso ma compresso: sei una bottiglia da un litro che ne contiene uno e mezzo. 
Hai accumulato, sei troppo pieno, non hai potuto sversare sul mondo che ti è vicino quanto avresti voluto.

Così ho capito. Che sono due litri di spuma in una bottiglietta di gingerino.
E voi? Che bottiglia siete? 

martedì 25 settembre 2012

Merende



Quando nel fine settimana andavo dai nonni, trovavo la Girella Motta. In gran segreto (a casa mia era merce assolutamente proibita), ne estraevo una dalla bella confezione con l'indiano.
Il rituale prevedeva lo srotolamento della stessa, che però non si sbucciava in modo regolare e rotondo, bensì a pezzetti. Ma che pezzetti. Restavano solo palmi e falangi da leccare.
In alternativa, potevo optare per un leggerissimo panino con prosciutto crudo di San Daniele, ben imburrato sopra e sotto, come diceva il Pinocchio di Collodi.
Ma il vero must era il dessert al cioccolato della Cameo, ancora tiepido, ribattezzato dalla nonna Felicita (esemplare rarissimo di casalinga dotata di grembiule ma sprovvista di doti culinarie) "il budino con i groppi". Mai una volta risultò fluido e cremoso come voleva illuderci la bella immagine sulla confezione.
Però che meraviglia, quando pulivo il pentolino con il dito.

lunedì 24 settembre 2012

Capigliatura autarchica


Dilemmi autunnali.
Vorrei tagliarmi un po' i capelli, che ora misurano 40 centimetri (preso il metro e misurato).
Allora mi sono fatta un tour virtuale fra i le sforbiciate più interessanti del red carpet.
No, non mi ritrovo. Bullock troppo statica, Aniston troppo liscia.
E poi, finisce che vado dalla Robi, le mostro la foto sorridente e soddisfatta, ma dopo due ore di intervento a cuoio capelluto aperto, esco tutta phonata e gonfia. Oppure spiaccicata e artisticamente sfalsata.
Insomma, quando mi taglio i capelli non mi piaccio mai.
Quindi, ho deciso che vado a comperarmi uno sfilzino. E faccio da me.
Una cosa tipo Edward. Mani di forbice.

sabato 22 settembre 2012

Un salto

Dammi la mano.
Quanta intimità in questo gesto. Non posso farlo. Rimago incerta sul sasso, misuro la distanza.
Dai, dammi la mano, ti aiuto a passare di là.
Come sarebbe? Intendo, posare il mio palmo sul suo, agganciare le quattro dita, opporre loro il pollice, leggermente sollevato. Saggiare la consistenza e il calore. Come sarebbe?
Non ce la fai a saltare, sei troppo lontana, finisci in acqua. 
Ride.
Potrei scattare una foto, se solo non dovessi stare in equilibrio. Il suo braccio allungato, la camicia che lascia scoperto il polso, una fila di perline nere appena sotto. La sua mano tesa, che chiede la mia.
Quanti scatti servono per immortalare un gesto?
Clic clic clic clic clic. 
Le punte delle dita frementi, la spalla ruota in avanti, spinge, il ginocchio si piega. Gli occhi trovano occhi.
Dovrò lasciare la sua mano, una volta arrivata di là? O potrò trattenerla, fermarla nella mia, portarla alle labbra?
Forza, vieni più avanti. Bastano pochi centimetri.
Eccomi, arrivo.

Auguri nonna



La nonna compie 92 anni.
Abbiamo pranzato fuori, in un piccolo locale del centro storico, che lei apprezza per le proposte legate alla tradizione, per i piatti ricchi e saporiti. Era presente, curiosa, anche se un cruccio grosso la accompagna da qualche giorno. Il pensiero per una persona importante, sua, che sta soffrendo.
E' molto delusa. Pur avendo pregato con dedizione e impegno costanti, pare che Iddio abbia fatto orecchie da mercante.
Allora abbiamo discusso un po' su questo dispensatore di miracoli e disgrazie, che pesca dal sacchetto, ad occhi chiusi. Un po' di amore qui, un po' di lacrime là, come capita.
"Ma ti pare possibile?", le domando.
"No, sarebbe un Dio crudele", risponde pensosa.
Allora conclude che chiederà altro. La capacità di accogliere, sostenere, far fronte. E forza da dispensare.
Novantadue anni di saggezza.

venerdì 21 settembre 2012

Tossici


Fondamentalmente, concordo con l’affermazione che scrivere è un’attività malsana. Quando decidiamo di scrivere un libro, cioè di creare una storia dal nulla servendoci di parole e frasi, necessariamente estraiamo e portiamo alla luce un elemento tossico che fa parte del nucleo emotivo dell’essere umano. Lo scrittore se lo trova di fronte e, pur sapendo di correre un pericolo, deve maneggiarlo con abilità. Perché senza la presenza di quell’elemento tossico, un atto creativo dal significato autentico non è possibile.
"L'arte del correre" (H. Murakami) 

Non ho letto questo libro, ma la citazione mi suona bene. E forte.
Sono tossica. Non mi sono mai curata.
Vorrei farlo? Vorrei davvero epurare, espiare, pulire, disinfestare?
No.
Forse è sufficiente sapere. Conoscere. Aver visto. Il nucleo, lo zoccolo duro, il nocciolo di mandorla, amaro. E magari decidere di lasciarlo lì, a esalare.
Le esalazioni confondono, ma nello stesso tempo creano mondi fittizi da esplorare.

Mi dicono: la parola è un lusso del quale spesso non ci si sente degni. Meglio essere in fuga dagli affreschi, dal conforto e dai sorrisi prodotti dai lussosi resort immaginari della memoria parolaia. Troppa fatica, troppi "corner soul" dove riparare con le parole. Più si soggiorna nelle parole e più i pugni del quotidiano fanno male. Colpi bassi al ritorno nella realtà delle cose. 

Sottoscrivo. Ma non so rinunciare al lusso del mio resort.

giovedì 20 settembre 2012

Feel


Come capita, si scoprono cose.
E qual'è il senso di un blog, o della presenza attiva all'interno di un social, se non quello di imparare e stupirsi?
Qualcuno potrebbe dire che i sostenitori dei social, spesso, perseguono fini nebulosi o poco nobili. Sì, accade.
Ma, come dire, dipende dall'uso.
Anobii rimane un luogo privilegiato. Ovvio, anche in quelle lande si possono fare incontri sbagliati. Essere intercettati da  personaggi senza faccia e senza storia, bravissimi a costruirsi identità fittizie, avvoltoi in attesa della preda giusta.
Più spesso, non è così. 
Ed ecco che se sei accorto e spalanchi gli occhi, ti si aprono mondi.
Di graphic novel, io non ne sapevo nulla. Fumetti sì, ne avevo letti. Ma il romanzo grafico è altro.
Mi è bastato vedere le tavole. Colori, luce.
E li ho ordinati. Devo toccarli.

mercoledì 19 settembre 2012

Piccole intuizioni


Due chicche.
Volevo utilizzarle come siparietti spezza-conferenza, se mai dovessi ancora andarmene in giro a presentare le attività della nostra scuola. Poi mi sono detta che forse non è il caso. Potrei essere mal giudicata da un pubblico con senso dell'umorismo ipotonico.
La prima immagine si apre sulla sottoscritta in piedi accanto ad un banco. Un bambino di prima, ancora piccolo, minuto, più occhi che altro, scrive le sue prime sillabe. Po, fi, sa, mu, te. 
Po come porta.
Fi come fiore.
Sa come sapone.
Mu come muro.
"Maestra, con 'te' non mi viene in mente nulla".
"Dai, prova a pensarci".
Mi guarda, intensamente. Porta lo sguardo dal viso al collo. Scende. Si illumina.
"Ecco maestra, posso scrivere 'tette'!"
Scuola aperta, scuola che non giudica. Che accoglie il gesto creativo. L'apporto personale.
"Va bene, scrivi 'tette'. Con due 't' però".

Seconda immagine.
La collega accoglie i più piccoli in cerchio. Hanno tre, quattro e cinque anni.
Parlano dei loro papà.
"Mio papà è come una stufa", dice uno "quando mi metto vicino a lui mi scalda sempre".
Un compagno, poco distante, riflette. Poi alza la mano, sorride, pare soddisfatto.
E' un bimbo dalla carnagione chiarissima, i genitori sono irlandesi. Parla con marcato accento.
"Invece sai maestra, il mio papà è come un water...bianco e freddo".

martedì 18 settembre 2012

Diversamente seduti


- Sei strano.
- Scusa...
- No, era un complimento!  
dal film "Donnie Darko".

Al ricreatorio (istituzione laica triestina che soppiantò gli oratori) mi prendevano in giro, perchè per giocare a terra mi sedevo "a rana". 
Una gamba ripiegata a destra, l'altra a sinistra. In questo modo, più o meno.

 









Le ricordo bene le terribili sorelle Moreno, a sfottermi senza tregua, insidiose, cattive.
Ancora oggi, confesso, se devo mettere in scarico la schiena, mi siedo così. E dire che sono bradipicamente pigra.
E' questione di legamenti mi dicono, anche la mia mamma è snodatissima. Quando ero piccola giocavamo a raccogliere le cose con i piedi. Due scimmie.
Per dire, come un valore aggiunto possa creare discriminazione. Difficile accogliere ciò che (anche di poco) esce dallo standard accettabile.

lunedì 17 settembre 2012

Eccola!

Non ti muovere.
Io e te, 
ad occhi chiusi,
bambini nel tempo.

Distrazioni


Ieri sera mi hanno regalato un bellissimo taglio di stoffa.
Seta. Scivola fra le mani, ma nello stesso tempo si ferma, accarezza.
Cosa posso ricavarne?
Gli amici che l'hanno scelto per me pensavano ad un abito a kimono.
Io ci ho visto una gonna. Forse un camicino.
Devo parlarne con la nonna Amelia, avrà un sacco di idee.



 




Giornate piene. Sono stanca.
Stasera aperitivo in quel posticino, quello che tanto mi piace. Arredamento spartano, oste odioso, ostesse ruvide e aspre, crostini al baccalà, vino profumato. 
La compagnia sarà buona, è da tanto che non ci si vede tutti assieme. 
Mi farà bene.





domenica 16 settembre 2012

Iperbole


Quando lo vide quella prima volta fuori di scuola, aspettando Tobia, pensò ad un grosso animale. Taciturno, ingombrante. Lo sguardo laterale.
E anche quando si presentarono ebbe l'impressione che sfuggisse, braccato.
"Piacere, tu sei il papà di Fabio, vero?", e già lui aveva ritratto la mano, allontanato l'espressione di circostanza, chiesto venia.
A volte, sembrava cercarla fra la gente, ma solo per mettere la giusta distanza, uno spazio ragguardevole e congruo.
"Penso di essergli antipatica", disse ridendo a Giovanna.
"Ma va, è un timido. Non vedi?", e l'amica accennò alla panchina rossa, in fondo al parco. Lui sedeva distante, composto, gli occhi solo per quel figlio bello. I bambini si riversavano urlando, le scarpe slacciate, i grembiuli aperti, recuperando qualche straccio di libertà e luce. Le madri parlavano, dirimevano conflitti, rispondevano al cellulare, estraevano dolcezze dalle borsette colme.
Lui distante, composto, osservava suo figlio fare il buono e il cattivo tempo, arrampicarsi, sporcarsi, e sembrava compiacersi di tanta sregolatezza.
Fu quando Tobia ricevette il pugno, un dritto sferrato con precisione, che potè sentire davvero il suono della sua voce. Grave, pesante.
"Posso accompagnarvi al Pronto Soccorso se volete".
"No, non importa. E' già passato", e accucciata a terra, la gonna scomposta, temponava il naso di Tobia, che ancora recalcitrava, pronto a scagliarsi nuovamente sul compagno.
"Hai chiesto scusa Fabio?", disse lui rivolgendosi al figlio.
"Chiudiamola qui, non serve scusarsi, son cose da bambini", liquidò lei.
Grato, lui posò la mano grande sulla testa di Tobia, prima di andare.
"Mi dispiace", disse soltanto.

Mesi dopo seduti a letto, sgranocchiando grissini, ricordarono l'episodio.
"Mi dissi che la tua voce sembrava provenire da un luogo chiuso, sigillato. Era profonda e sola":
"E io mi dissi che due gambe come le tue non le avevo mai viste".
"Mi sorpresi a pensarti, mentre tagliavo i pomodori, quella sera stessa".
"Invece io già da tempo le pensavo, prima di addormentarmi, le tue gambe".
"La vuoi finire di spoetizzare tutto?", disse lei ridendo.
"Più poetico di così", e la sfiorò, come solo lui sapeva, con tocco antico.


sabato 15 settembre 2012

Sound da sabato sera


Non c'è altra attività civilizzata in cui il maschio della specie umana possa marcare ciò che desidera e in cui la donna decida di seguirlo, consegnandosi fiduciosa, sicura. Il tango argentino è l'unico contratto che non si può rompere.
Elia Barcelò

Sabato mattina


Stamattina sono andata in biblioteca. Quella mia, della circoscrizione.
Amo questo spazio, in un quartiere periferico e vivo. Di storie, personaggi, colori.
Ma la vera perla è lei, la Francesca. Donna bella (nell'accezione più ampia) e instancabile, curiosa e attenta. Consiglia, propone, chiede.
Oggi, mentre consegno la Berberova, spende un sorriso d'intesa.
Come a dire "bello, vero?".
Io annuisco. Sorniona.
E lei mormora: "che intensità".
Mentre si attende, vale la pena prendere appunti. La fauna variegata che popola questo luogo, val bene un racconto.



Poi con la bici, via in centro, Friuli Doc impazza. 
Non amo molto questo genere di cose. Normalmente incontro alunni, genitori di alunni, presenti, passati e futuri.
E devo molto sorridere.
Stamane però era piuttosto tranquillo. Due bei signori corpulenti giravano una polenta spessa e gialla, che regalava il suo odore di fumo, d'inverno.
Mi sono gustata la frittella di mela, ho ascoltato deliziata un bravo artista di strada intonare Wonderwall degli Oasis (che rimane un capolavoro), ho immortalato un cielo finto, e comperato un libro. Da regalare.

venerdì 14 settembre 2012

Mah, misteri...

10.000 visualizzazioni
Pare che si debba festeggiare.
E chi se lo aspetteva, in pochi mesi? 
Senza dirlo a nessuno, 
solo agli amici e alla mamma?
Grazie :)

Cultura stratificata


Mi fa sempre sorridere la domanda tipica e insensata, posta da giornalisti poco dotati a personaggi della stessa levatura.
"Che libro hai sul comodino?"
E giù un  riempirsi la bocca di Mann, Zola, Hemingway. Per non citare i blasfemi che dalla Bibbia traggono sempre un piccolo insegnamento serale. Che belle anime. Dagli orizzonti ampi e profondi.
Un libro solo sul comodino, un condensato di senso e stile.
I poveri miserabili invece, accumulano via via delle installazioni libresche. Pericolanti e impolverate.
Si stratificano tomi di tre tipi:
a) gli inseparabili, quelli che fatichi a ricollocare nella libreria, e che ti basta guardarli per star meglio;
b) gli illeggibili, quelli che provi e riprovi perchè sai che dovresti;
c) gli amici, quelli che consulti alla bisogna (legati alla professione, ad un viaggio imminente, all'interesse del momento).
Ecco la mia pila. E dire che l'ho pure sfoltita.

giovedì 13 settembre 2012

Promesse


”Era come sentire di aver ricevuto una falsa promessa, e sentire perciò un senso di perdita che rendeva la vita intollerabile...sentirsi traditi ma non saper stabilire il modo del tradimento”.  
R.Wright

Sarebbe venuta, gliel'aveva detto.
No, non pronunciato, sillabato, non composto lettera dopo lettera, sulle labbra pallide.
Però altro di lei si era esposto.
Il busto, così piegato verso di lui, mentre ascoltava. O quel sorriso incredulo, pronto ad aprirsi, quando lo seguiva in volo. Stupita da tanto. Inchiodata, da quello che avrebbero potuto essere.
E poi sì, quando lasciandolo sotto i portici e portandosi la mano al collo bianco sussurrò: "ogni tua parola, ogni tua singola parola è qui", lui se n'era andato con la certezza. 
Sarebbe venuta.
Così aspettò. Accese una sigaretta, osservò distratto un cane sbilenco, annusò la scia gardenia di una donna impellicciata.
Nulla aveva spessore, tutto poteva acquisire spessore. Dieci minuti ancora.
Nulla andava trattenuto e tutto poteva essere illuminato. Dalla presenza. Cinque minuti.
Pensò che avrebbe sincronizzato il suo passo a quello di lei. Stesso rumore, a scandire cose piccole e banali. Fa freddo. Dove vuoi andare. Un locale dietro la chiesa. Meglio passeggiare.
Era ora. Sei rintocchi a lasciare nell'aria un suono cavo, vuoto.
Sette rintocchi.
Perchè? Perchè lasciare che tutto riemergesse col suo squallore, minestra rappresa, calzino bucato.
Perchè? Provò a chiederlo, ad un passante. Ma non riuscì ad emettere suono.
 "Ogni tua parola, ogni tua singola parola è qui".

Le aste

Sono contenta di me.
"Brava Gioia", mi son detta. Piena di tenerezza.
Solo poco tempo fa, una situazione come questa mi avrebbe minata, profondamente.
Invece sto in piedi.
Ringrazio, posso solo ringraziare. Chi mi ha insegnato.
E' tempo di prove per me. 
Oggi, anche il luogo in cui nuoto, come fosse il mio elemento, lo spazio della scuola, in cui sono cresciuta come insegnante e come persona, mi ha attaccata, ostile. Ha mostrato zone scure.
Una mamma, da sempre conscia delle piccole e grandi difficoltà del suo bambino, e che proprio alla luce di questa consapevolezza aveva scelto un metodo che garantisse ascolto e accoglienza, mi ha aspramente criticata. Mi dice che la creatività non deve andare a discapito della ripetizione forzata e metodica di scritture, che una buona calligrafia richiede sacrificio e non implica piacere.
Non entro nel merito, il discorso è lungo e complesso. Ritengo che la scrittura, come gesto che scaturisce dalla mano, possa avere un valore e un senso solo se supporata dall'intenzionalità di dirsi, di comunicare.
Non proporrò mai una scrittura asettica, decontestualizzata, ripetitiva.
Un po' stanca, gli occhi segnati da una notte a metà, ho detto.
"Perchè hai scelto questa scuola? Cosa pensavi offrisse a tuo figlio?"
E' bastato questo. Lo sa. Sa che in nessun altro luogo questo bambino avrebbe potuto imparare a raccontare le sue emozioni. A governarle, a gestirle. Sa che nessuno avrebbe potuto amarlo così. Nonostante fosse difficile, amarlo.

mercoledì 12 settembre 2012

Plic ploc

L'istruttrice in palestra è quella col sorriso fisso, dinamica, che chiama tutte "amore". 
"Amore, alza di più le braccia!"
Fatemi uscire di qui.
Esco dalla palestra e diluvia.
Ma diluvia. E non ho l'ombrello.
Corro per raggiungere l'auto, però arrivo che sono fradicia. Quanto mi piace.
L'acqua mi piove dai capelli.
I due chilometri che mi separano da casa li faccio alla cieca, i tergicristalli non fanno in tempo a pulire.
Rimango nell'abitacolo. Che suona, ovatta, isola.
Chiudo gli occhi, sorrido. Non capita tanto spesso di tagliare fuori cose e tempi e voci. 
Lasciatemi qui.

C'era


Primo giorno di scuola.
Li guardi e ancora non sai chi sono. Quelli piccoli intendo, quelli che sembrano pulcini, così persi in questo spazio.
Eccone uno che a metà mattina, un po' frastornato e stanco, mi dice: "puoi chiamare la mia mamma per sapere cosa sta facendo?"
Chiedo: "come mai ti interessa? Ti manca un po'?"
E lui, svelto, con aria di sufficienza e manina che fende l'aria: "no no, volevo solo sapere!"
Vederli lì, i piedi a ciondoloni su sedie a misura, ma ancora troppo grandi, mi riempie di tenerezza.
"Quando potrò scrivere una storia, Gioia?"
"Quando vorrai".
"Allora comincio adesso". Prende foglio, penna. "Come si scrive c'era, che non lo so?"

martedì 11 settembre 2012

Semplice


E' banale dire che la vera bontà e la vera bellezza sono semplici?
E' banale.
Man mano che passano gli anni però, mi scopro a sfrondare, pulire, potare. E quel che resta, in ogni senso, è pulito, schietto, autentico.
A volte faccio fatica. I pensieri, le idee, mi viene da elaborarli, da arricchirli. Non sempre riesco a dirmi senza giri di parole. Ma pian piano anche la comunicazione diventa più snella, più efficace.
Tutto questo per dire: cosa c'è di più buono e semplice di una burrata con acciughe? O del pollo fritto con vere chips di patate?
Semplicità sotto forma di colesterolo, ti accolgo.

Umanità


Quanto mi piace leggere.
Ma intendo anche leggere le persone. I gesti, l'abbigliamento, le scarpe, il tono della voce.
Mi capita di sedermi sugli scalini della piazza per il semplice piacere che deriva dall'osservare, come su un grande palcoscenico, la gente muoversi, incontrarsi, camminare.
La piazza è luogo di appuntamenti. Allora puoi vedere, sotto il campanile, a pochi minuti dallo scoccare dell'ora, qualcuno aggirarsi con quell'aria fintamente distratta, vaga, che assumiamo nell'attesa. Uno sguardo veloce all'orologio, o al display del cellulare, se l'ora è già passata e i minuti cominciano ad essere pesanti.
Chi starà aspettando quel giovane uomo che si aggiusta i capelli e si arrotola una sigaretta? E che lavoro fa? Cosa può dire di lui quel passo strascicato?
E la signora dal tacco dodici, impaziente, profumata, attende un'amica per il caffè delle quattro?
Ci scommetto su. Provo ad indovinare. Aspetto con loro.
Poi c'è il fluire di chi passa. 
Un ragazzo piccolo (ma quanto è piccolo?), accanto ad una ragazza altissima. Pare un gioppino. Ma le cammina a fianco, baldanzoso, spingendo sulle punte, dandosi slancio.
Il nonno col passeggino. Ma poi, è il nonno? O una papà appena fuori target?
L'anziana signora che spesso incrocio, col cagnolino. Così piegata, così china, da chiedersi come fa a vedere dove si muove, dove posa i piedi piccoli. Come sarà la sua casa? Che odore avrà?
Ecco. Umana ispirazione, umana lettura.

lunedì 10 settembre 2012

Camus quotidiano

Non mi sono mai sentito allo stesso tempo cosí distaccato da me stesso e cosí presente nel mondo
Albert Camus 

Che giornata. Densa, piena. E nello stesso tempo sospesa.
Due note molto carine.

 



La bisnonna ha lasciato un collier alto, in eredità. L'abbiamo riesumato e provato. Ma quanto è bello.
Da gran serata.







Ho ricevuto in regalo un piccolo vassoio di delizie.
Crema al torroncino, da spalmare sul pane bianco. O da accompagnare ad una mousse al cioccolato.
Mostarda e gelatina al vino per i miei adorati formaggi.
Molto autunnale.

Condizionamenti


Belle parole. Dette da Adrien Brody, poi.
Perchè sempre inadeguate? Da ragazzine acerbe, sempre troppo grasse o troppo magre. Troppo brufolose. Da donne a volersi sempre diverse: più disinvolte, più bionde, più glabre.
La scorsa settimana ero in uno di quei luoghi squisitamente femminili, deputati alle chiacchiere e (tristemente) al rispettivo analizzarsi di culi, fianchi, seni più o meno baldanzosi.
Una bella signora, ha l'aria di non volersi rassegnare. Ma rassegnare a cosa, poi? Al fatto che d'ora in avanti potrà essere amata per le sue parole, invece che per i suoi lombi?
E' evidente il suo remare, senza posa, contro il tempo. Lo dice l'abbronzatura forzata, il fisico strutturato, l'abbigliamento che scopre, impietoso. E un'espressione triste, in fuga.
Invecchiare non è perdere. E' implementare.
Quando ho conosciuto Marilde mi son detta che è così che voglio "crescere". Bella, forte, saggia e consapevole.

domenica 9 settembre 2012

Live fast die young


















L'adolescenza l'ho fatta. Timbrato il biglietto. Con le cazzate, numerose, con le esaltazioni, esagerate.
A differenza di alcune mie compagne, che incollavano sul diario le foto di scipiti cantanti col ciuffo sugli occhi o di attoruncoli passeggeri come un raffreddore, io mi schieravo col ribelle.
Non so se il suo volto bellissimo dicesse anche a me di sofferenze e destini.
So che coglievo, sotto la brillantina, una rabbia che riconoscevo. E un'ansia di vivere, provare, assaggiare, che (lo scopro adesso) non mi ha mai lasciata.


Pronti per partire!







Ultimi ritocchi stamattina alla mia aula.
Sono soddisfatta.
Perchè da una bella stanza ampia sono riuscita a ricavare angoli di lavoro, nicchie di tranquillità. Ho frazionato senza parcellizzare, mantenendo quell'aria intima e nello stesso tempo di respiro, che avevo pensato.










Vorrei che si sentissero a casa.
Ma vorrei anche che lo vivessero come luogo in cui rispettare e sentirsi rispettati. Un spazio di parole e pensieri, di sussurri e risate.
Chiederò loro di amare questi spazi, di appropriarsene. Solo quando si ama, si può prestare attenzione, anelare all'ordine e all'equilibrio. Solo quando si lascia qualcosa di sè in un luogo si è chiamati a tornare, con gioia, per riunirsi.



sabato 8 settembre 2012

Coscienza pesante

Meno di tre ore. E sei in un posto così.
Una passeggiata al mercato, ad affondare le mani fra rayon ed elastan. Abiti usati e stoffe indiane, nell'aria un sentore di incenso e cannabis.
La libreria Coop non l'avevo mai vista. Ha trovato casa negli spazi del vecchio cinema Ambasciatori: tre piani di squisitezze da sfogliare e mangiare.
Piatto di affettati e tigelle, formaggi con la mostarda.
Sotto i portici, un colpo di fulmine. Poi un piccolo screzio con la mia coscienza, che provava a ricordarmi l'obiettivo.
"Gli stivali Gioia, volevi gli stivali, non le decoltè da tanguera. Rammenti?"
Rammento. Sì.
Però un vestitino me lo sono comperato. E anche un libro.
"Il giunco mormorante", della Berberova.

venerdì 7 settembre 2012

Assoluzione


Lips are turning blue
a kiss that can't renew
I only dream of you
my beautiful
 
Tiptoe to your moon
a starlight in the gloom
I only dream of you
and you never knew
 
Sing for absolution
I will be singing
falling from your grace
 
There's nowhere left to hide
in no one to confide
the truth runs deep inside
and will never die

Mamma

La mia mamma, tempo fa, mi fece il sushi, con le sue sante mani. Che mamma.
Io adoro il sushi, ma qui dalle nostre parti è difficile trovarlo verace, sano e non decongelato.
Il primo passo consiste nel cucinare quel fantastico riso gohan, compatto ma non scotto, semplice ma saporitissimo, che funge da base. Che, sembra facile. Invece no.
Una volta cotto (e i passaggi sono almeno otto), ecco che andrebbe stesa l'alga. Con gesti sapienti si può quindi disporre il riso sulla superficie dell'alga. Ecco la direzione del gesto.
Solo allora, e solo se i chicchi saranno ancora distinguibili e non pressati, si può passare alla "farcitura", con crab, avocado e uova di pesce volante (ricetta originale).


Arrotolare, dare forma quadrata, e tagliare con attenzione i pezzi.
Al di là dell'impegno, del lavoro di fino, della gestualità tutta orientale, mi chiedevo dove potrei trovare uova di pesce volante.
Quindi pensavo mamma, se mi leggi, di dirti che se per caso nei prossimi giorni ti vien voglia di fare del sushi, io lo gradirei moltissimo. :)

giovedì 6 settembre 2012

Tirannie


Colloquio con un babbo.
Da subito percepisco la sua necessità di mettere barriere, e la rispetto.
Non vuole empatia, mi astengo. Chiedo, ascolto.
Ci tiene a sottolineare che loro hanno fatto scelte precise. Cibo bio e biodinamico, tessuti non trattati e naturali, vita sospesa, lontana dallo stress.
Ma la sensazione, è che lo sbandieri. Il sorriso compiaciuto con cui accompagna l'affermazione "noi siamo dell'idea che la volontà del bambino vada rispettata", mi trova alquanto perplessa.
Questo bambino, che cammina scalzo d'estate e d'inverno, che beve ancora dal biberon a quattro anni, che sta seduto sempre con la testa in giù e le gambe all'aria (mi ricorda Pippi, anche detta Pippilotta Viktualia Rullgardina Succiamenta Efraisilla Calzelunghe) e mangia solo se e quando vuole, è tutto da osservare.
Cos'è la libertà? Senza filosofeggiare, intendo.
Potersi esprimere direi io, ma in un contesto relazionale, di scambio. E il contesto relazionale, non richiede regole di convivenza? 
Questo bambino, uscirà dalla sua bolla incantata. Troverà tossiche rotelle al sapore di fragole sintetiche, abiti sgargianti all'odore di petrolio, cinema multisala intasati di gente e popcorn, e codici della strada che avranno qualcosa da eccepire, se per caso deciderà di guidare con la testa all'ingiù.
Non per questo penso che dovrebbe gonfiarsi di ormoni e globalizzazione anzitempo. Ma un bagno nella realtà, quando capita, potrebbe prepararlo al peggio.

mercoledì 5 settembre 2012

Pelle



No, oggi non era giornata.
Stanca, svuotata.
Ma ci sono, anche nelle peggiori giornate, delle frasi che suonano.
Oggi la Chiara, donna equilibrata e saggia, preparata e competente, luminosa e seducente, mi parlava delle dermatiti infantili. Come sempre, le sue parole e i suoi gesti sono armonia. Pare che quel leggero sollevare la mano di taglio, o quel dolce chiudere le dita a pugno, diano valore al dire, vestendolo di nuovo.
Ecco, sorridendo e muovendo le mani, Chiara mi dice che la dermatite disegna sulla pelle del bambino il dolore. Proprio l'involucro, che ci separa dal mondo, racconta, come un quaderno, le lacrime e i sorrisi.
Ebbene mi vedo. In piedi sul tavolo, mentre la mamma mi spalmava il cortisone. Tappezzata di tormento.

Propositi per il nuovo anno

Ho paura di essere riassorbita.
Dal rumore assordante del fare. Dalla voce melliflua e spietata che dice roca "puoi dare ancora, puoi
dare di più, continua, dimostra".
Vorrei tenere uno spazio. Facile a dirsi, meno a farsi.
Un posto mio, un rifugio, la casa nel bosco.
Uno spazio nel quale tutto perda e nello stesso tempo acquisti spessore. Un luogo del sentire.
Oggi getterò le fondamenta.

Letture

Il pensiero della mia morte accentua la mia fame di vita.

Sono solo qui. E l'amore mi spalanca.

Quel primo istante, quando mi cerca e mi trova, è un istante al quale non mi stanco mai di assistere. Il momento in cui mi riconosce è uno dei più gratificanti della mia vita. L'istante in cui la persona amata ti trova.

Siamo sempre così in accordo, come se i miei pensieri fossero una conversazione con lei.

Non riuscivo a immaginare un mondo al di fuori del nostro amore. Quello di cui non riuscivo a rendermi conto, forse, era che nel mondo in cui abitavamo non c'era alcuno spazio per noi.

Rieccola, la Humphreys.
Com'è che in questa fase della mia vita incontro letture così sanguigne? Le incontro, le cerco o mi cercano?
E' bello pensare di essere scelti da un libro. Ma poco realistico. 
Forse è come quando vuoi smettere di fumare, e trovi sempre qualcuno ad offrirti una cicca.
O come quando provi ad essere mamma, e intorno a te si vedono solo grandi pance.
Così, quando qualcosa si muove, tu cerchi corrispondenze. Specchi.

martedì 4 settembre 2012

Immagini

Emilio Rigatti scrive di viaggi.
Ma non di viaggi qualsiasi, sono viaggi di cuore e pelle.
Si muove in bici, in kayak, a piedi.
Ho avuto la fortuna di conoscerlo, ed è una di quelle persone vere, che veri hanno gli occhi assetati, vere le parole, mai stentoree o troppo vaghe.
Parole che dicono di lui.
Leggevo ieri del suo viaggio in Dalmazia, a ritagliare isole e anse d'acqua.

Ma intanto godiamoci la digestione di questa navigazione indimenticabile appena conclusa. Perchè come si dice in Colombia, "nadie me quita lo bailao". E cioè: nessuno mi può togliere i balli che ho ballato.
Poeta.
Nessuno può toccare i nostri ricordi. Le immagini che portiamo dentro. 
Ecco. Settembre è l'odore della cartella verde. E del suo interno: matite, gomma da cancellare, carta. La smania di aprire, con gesto teatrale, la prima pagina del quaderno. 
"Bambini, scrivete la data".

lunedì 3 settembre 2012

Felicità?



Il libro della Ernaux si conclude con queste parole.
Quando ero bambina, lusso significava per me pellicce, abiti lunghi e ville sulla riva del mare. Più tardi, ho creduto che fosse condurre una vita da intellettuale. Mi sembra ora che sia anche poter vivere una passione per un uomo o una donna.
Ora, va affrontata l'annosa questione.
Spesso pongo questa domanda, banalissima.
"Puoi dire di essere stato (o stata), veramente felice?"
Di solito la risposta è vaga, e spesso porta a dissertare, ma sfugge ai dati oggettivi.
Insomma. Felicità è un dolce assaporare che ci accompagna lungo la strada o qualche vetta compulsiva di intenso appagamento?
Pace o turbamento?
Una sollecitazione, a tale proposito, viene dal libro che ho tra le mani.
Mi viene in mente che è quello che ho sempre desiderato, da me stesso e da un'altra persona. Voglio darmi interamente. Voglio impegnarmi totalmente. Voglio un momento come questo, un momento dal quale forse, non mi riprenderò più.
"La verità, soltanto la verità" (H. Humphreys)

domenica 2 settembre 2012

Voce




Birds are in around my head, things you have done
The words you have said, your memory after you left
I try but I can't forget

Like a hummingbird in flight you are

Hovering, hovering around me
Don't fly away

Passioni

Sempre buoni i consigli delle amiche?
Direi di sì.
Mi sono bevuta in un sorso questo "Passione semplice", di Annie Ernaux.
In un'intervista Annie confessa:
Qualcosa, dentro di me, si accende e mi dico: "ecco l' uomo che fa per me". Poi deve scattare la scintilla della connivenza.
Connivenza. Lo trovo bellissimo.
E poi:
Il fatto straordinario e' che l' essere, nella passione, perda la sua identità, nel senso che non c'è più un sesso dogmatico, tu sei uomo, io sono donna. C'è come una specie di fusione.
Un libretto veloce, snello, ma pregno, alla stregua delle liquirizie inglesi che portava mio padre dai suoi viaggi.
La storia pare, per l'appunto, semplice.
Una donna, il suo amante, l'attesa spasmodica di un incontro, di una telefonata. La necessità far ruotare ogni aspetto della propria esistenza attorno ad un'ossessione.