lunedì 31 dicembre 2012

Parole che scaldano


Non è facile dire di sè, quando ogni cosa pare insapore. Incolore. Finisci per ripeterti. O simulare. Mettere l'ennesimo strato di cerone bianco. Il pilota automatico di espressioni accettabili. Ti sembra di non poter sporcare ancora la serenità degli altri.
Ma gli amici vedono, colgono. E chiedono.
"Come stai oggi?"
"Hai dormito?"
Poi provano a proteggerti.
"Chiamami stasera prima di andare a dormire".
"Mangi in questi giorni?"

E ti scrivono, e le parole sono una spinta.
Compatisco le persone che sono state allontanate dalla loro vita, ma ho imparato a riconoscere chi invece sta vivendo la sua esattamente come vorrebbe. E' l'unico scopo: essere sicura che le persone che amo vivano la loro vita, ed io prima di tutti. 
Cerca di accettare il cambiamento e la sofferenza. 
Non combatterli, ti stanno avvicinando a te stessa. Ripetitelo ogni volta che stai male. 

O sono carezze.
Quando tutto si deprime è perchè quel tutto si è stufato di essere il senso che davamo al Tutto.
Abbiamo bisogno di vivere il tutto con un nuovo senso o di viverlo senza senso.
O di viverlo creando un nostro senso.
Quello che possiamo fare e' amare, amare quello che c'è, e ti prego di continuare ad esprimere quello che senti perche' renderlo silenzioso sarebbe ancora più doloroso.
 
Io non pensavo di essere amata così.

domenica 30 dicembre 2012

Ameno


L'idea di cercare un rifugio in cui svernare mi porta a visitare luoghi più che sperduti.
Ed ecco che oggi  il torrente Grivò in persona si scomoda per indicarmi la direzione. Piccola frazione di duecento anime nel Friuli collinare. Nessuna auto per strada, vecchie case di sasso.
Che poi, è un attimo incontrare qualcuno a cui chiedere con semplicità "sa mica se c'è una casetta in affitto da queste parti?", e ritrovarsi con un bicchiere di vino rosso in mano a parlare di semina e raccolto. E visitare un orto, un pollaio, un filare di viti, ascoltando storie, animosità, dispetti, allegrie, di una comunità che ancora difende il silenzio, l'ovattato nulla.
La casetta ci sarebbe. L'affitta una vedova, che però oggi era dalla sorella in Veneto. S'ha da tornare.
Don Camillo e Peppone non li ho visti. Ma la prossima volta, secondo me, li incrocerò.

sabato 29 dicembre 2012

Campagna silente


Tour in bicicletta negli anni '50.
Qui, in queste terre al confine fra l'Italia e la Slovenia, il tempo si è fermato, e tutto pare respirare lento.
Due aironi bianchi nel ruscello, un piccolo rapace sorvola il boschetto. Profumi di cibo, pane e cipolla. E a me la cipolla non va proprio giù, ma la corsa mi ha messo appetito e adesso mangerei volentieri anche quella.
Sotto il paese arroccato, i campi, i vigneti.
Fra le zolle, tutto tace.
Però mi piace pensare che questo silenzio sia preludio di un grande risveglio. Il più bello. Il più luminoso mai visto.

venerdì 28 dicembre 2012

Luoghi di vita

L'avevo detto a Noce che ci sarei andata.
Al cimitero, per fare delle foto.
Ora, la Nocetta studia e non aggiorna da un po' il blog, quindi non so se passa di qui.
Però io la racconto comunque questa mattina di sole bello e un po' farabutto. Perchè sorrideva, ti invitava a lasciare la giacca aperta, e poi non ti scaldava. Stava distante, sulle sue. E tu a guardarlo appesa, adorante.
Insomma sì, sono andata nella parte monumentale del cimitero. Viali e colonne. Cipressi e polvere. Il tempo, il tempo, dilatato e compresso assieme.
Ma non so come (anzi lo so, perchè forse è molto banale), ho attinto vita.
E ho pensato alle parole che da pochissimo mi ha scritto un'amica che ne sa. Ne sa, di Vita.
Oggi è il tempo di camminare, spalle e schiena diritta, sguardo avanti, a testa alta, fiera come chi ha un nobile cuore senza maschere e falsità. Eroica, solare, potente, generosa, ricca di una passione che diventa fuoco che illumina e riscalda.
Senza ignorare la misura, curando con attenzione il livello dell'orgoglio.
E cogliere l'attimo, e procurarti che l'attimo bello vissuto si dilati e si espanda all'infinito, per l'eternità, nel ricordo che scalda e rasserena, sempre vivo e presente.

Vedere, non solo capire, che non esiste solo il bianco e il nero ma milioni di tonalità dalla luce al buio.

giovedì 27 dicembre 2012

Bulli e...maestre


Corso sulla sicurezza negli ambienti di lavoro.
Ci accorpano, me e la collega, ad un corso già organizzato.
"In quale ditta?", chiedo al presidente.
"Autotrasporti", risponde ammiccando.
Ed ecco che stamattina ci siamo ritrovate sedute in mezzo a camionisti nerboruti, che prendevano posto increduli guardandoci di sguincio. Come direbbe Massimo.
Il relatore ci presenta, dice che siamo maestre, e i commenti si sprecano.
Ma al momento di fare il test di verifica, alle nostre spalle una voce sussurra: "maestre, potreste almeno suggerire!"
Risata generale.
Erano dispiaciuti che non ci unissimo a loro per la pausa pranzo. Nonostante fossimo maestre, e in quanto tali, nel loro immaginario, portatrici sane di supponenza e giudizio, alla fine dobbiamo essere sembrate piuttosto umane.

mercoledì 26 dicembre 2012

Sogni che diventano realtà


Ho sognato che andavo su e giù per una città tutta salite e discese. Una città scarna e asciutta, senza luminarie, fronzoli, colori. Un po'sovietica, autarchica, grigia. Ero stanca, affannata.
Ad un tratto, lungo la strada su cui si affacciavano porte e vetrine tutte uguali (legno stinto e scrostato), ho sentito un profumo di lievito e zucchero. Da dare alla testa.
L'ho seguito, e mentre lo seguivo, il sangue mi affluiva al viso. Prendevo colore.
Da un negozietto, veniva una luce gialla, tremula. Sono entrata. Era la bottega di un panettiere, deserta, gli scaffali vuoti.
Ma dietro all'unico vetro, campeggiava un dolce ai semi di papavero, glassato e brunito. Lucente.
Mi sono svegliata.
Sono andata in cucina ad impastare. Zucchero, farina, burro, uova. E semi di papavero, alla fine.

martedì 25 dicembre 2012

Spirito del Natale

Ecco, io volevo fare come Scrooge.
Ma senza patimenti, senza fantasmi incatenati o sospiri di vecchi Natali nella notte.
E ce l'ho fatta, ieri sera. A decidere che potevo non festeggiare. Che volevo curare le mie lesioni con cataplasmi e impiastri, solitaria, come una lupa dal pelo antracite.
Allora, mentre il mondo fuori consumava crostini e conversazioni (dalla finestra ho osservato le case dei vicini, le ombre dietro le tende, l'alternativo accendersi e spegnersi di luci in stanze a me sconosciute), ho allestito il mio rituale. Un bagno caldo, candele. Un accappatoio morbido, un panino al salame. Un film.

Oggi però, c'era la nonna che mi attendeva. E non so quanto tempo le sia ancora concesso, per raccontare le sue storie. Davvero non lo so. 
Così oggi raccontava e raccontava, e guai a distrarsi un momento.
"Zitta tu, non parlare per sotto", mi dice mentre chiedo a mia mamma se mi passa l'acqua. 
Abbozzo, mi scuso, le assicuro che stavo ascoltando con grande attenzione.
Essere redarguita dalla nonna, come fossi una bambina. Non ha prezzo. 
Vale più di cento Natali da Scrooge.

P.s. Avevo postato una foto di me, in veste Scrooge. Mi dicono che faceva pena (non sono bravissima a giocare con Paint). Allora posto il vero Scrooge. E' più bello :))

lunedì 24 dicembre 2012

Un sapore di ruggine e ossa

Ieri sera, colta da un'irrefrenabile voglia di cinema, ma irrimediabilmente sedotta dalle profferte del divano rosso e troppo stanca per uscire, ho deciso di regalarmi un film che da ottobre volevo vedere.
Mi faceva un po' paura questa trama così farcita. I combattimenti illegali e clandestini di Alì, il suo vivere di espedienti e truffe, la sua incapacità di occuparsi degli altri. La bella addestratrice di orche, che perde le gambe e sopravvive senza desideri e senza domande.
Invece è tutto misurato, nessun bisogno di colpire al cuore, di chiamare in causa struggimenti retorici.
Solo la ruggine che gratta.
E la bellezza, che si nutre di carezze.


domenica 23 dicembre 2012

Ci provo

Ti chiedi, a volte, se la normalità tornerà.
Se la smetterai di sentire dietro lo sterno il buco.
Se i gesti riprenderanno la loro consistenza di gesti. Mettere su il bollitore, scostare la tenda per guardare se piove, infilare gli stivali, dare due giri alla sciarpa a righe.
Sì, ti chiedi se potrai fare ognuna di queste cose senza pensare che sotto, bruci.
Dopo un lungo letargo, ieri mi sono decisa ad aprire un varco. Credevo mi sarebbe costato, però valeva la pena provare.
Insomma, il buco è ancora lì.
E sotto, brucio sempre.
Ma queste persone, le stesse che mi hanno tenuta negli occhi nelle ultime settimane, mi restituiscono una Gioia che prova a sorridere. Ad ascoltare. A raccontare.
Che versandosi il vino mette in pausa il dolore, ed è solo mano ferma, bicchiere freddo, bottiglia verde. Nelle cose. Nel qui ed ora.

sabato 22 dicembre 2012

Contrasti


Oggi un passaggio dal robivecchi, per qualche foto.
Il titolare, sulla cinquantina, è un concentrato di vita. Ha scelto questo lavoro, lo fa con trasporto. Voce importante, presenza scenica, fine osservatore dell'umanità.
Capisce subito che traccia annuso e mi porta cose che ritiene interessanti. Un atlante del 1800. La foto inconiciata di una bambina triste. Un'antica bilancia delle Poste.
Un ragazzo entra, saluta, e spulcia. Dice che sta cercando un'ispirazione per i regali di Natale. Saggio, non ci avevo pensato. Ridare lustro ad uno di questi oggetti e farlo circolare ancora.

Siccome sono dimagrita, mi tocca cercare un paio di jeans che non cadano. 
Jeans. Quella roba di cotone blu, che il signor Strauss propose ai cercatori d'oro nel 1853. 
Uno scampolo di stoffa denim con cui coprire le gambe.
Entro in un negozio che propone diversi modelli dei suddetti.
Li individuo subito e li provo: carini, semplici, dal sapore vagamente country. Mi stanno bene. 
"Quanto vengono?", chiedo al commesso.
"180 euro".
Lo guardo incredula per un attimo, sorrido, glieli rendo.
"No, scusa, è una questione di principio. Non possono costare così tanto".
Fa spallucce, mi guarda come se davanti gli si fosse palesato l'Angelo Vendicatore. O la regina dei barboni, con tanto di manuale del perfetto consumatore.

venerdì 21 dicembre 2012

This is not the end


A mezzogiorno a scuola eravamo nel pieno delirio festa-di-Natale-con-pizza-panettone-e-mostra-dei-lavori-appesi-ovunque-con-lo-scoth-che-si-stacca.
Ma per un attimo ho guardato verso il cielo. Magari lo avrei visto in faccia il meteorite, prima che si abbatesse su di noi. Invece niente, escluso un sole freddo.
Scambio quattro chiacchiere con un papà: mi dice che l'ora dell'Apocalisse è incerta. Ma presumibilmente, avremmo dovuto attenderla fino alle ore 15.
Orbene, adesso sono le 17. 
Quindi, bypassata la fine del mondo, mi aspettano la cena della vigilia e il pranzo di Natale. Prendo atto, sono quasi pronta.
Ma il mio Capodanno al cinema, non si tocca. Che poi, qualcuno si è fatto coinvolgere, perchè non è così male uscire dalla sala a mezzanotte, buttarsi sul divano e disquisire di buoni propositi e progetti, sorseggiando un po' di Prosecco.
E magari, in sottofondo, parole cantate, come queste, da ascoltare in religioso silenzio.
  
Canterò le mie canzoni per la strada
ed affronterò la vita a muso duro
un guerriero senza patria e senza spada
con un piede nel passato
e lo sguardo dritto e aperto nel futuro.
Non so se sono stato mai poeta
e non mi importa niente di saperlo
riempirò i bicchieri del mio vino
non so com'è però vi invito a berlo
e le masturbazioni celebrali
le lascio a chi è maturo al punto giusto
le mie canzoni voglio raccontarle
a chi sa masturbarsi per il gusto
.

giovedì 20 dicembre 2012

Abbracci


Sono labile in questo periodo, lo ammetto. Ma questa cosa degli abbracci gratis mi è piaciuta tanto. Così tanto da avermi commossa.
L'abbraccio è la manifestazione d'affetto che prediligo, in assoluto. Dice subito le cose in modo chiaro, un abbraccio. 
Tengo le distanze. Ti voglio bene. Ho paura di questo contatto. Sei importante per me. Mi dispiace che tu stia partendo. Sono felice che tu sia qui, adesso.
Un abbraccio stretto, intenso.
Un abbraccio di quelli così, e non fai altro che stare.
Un abbraccio di quelli in cui le mani, sulla schiena, si muovono appena un po', senza fraintendimenti. 
E senti che non sei solo. E senti che il tuo corpo ha un peso, un involucro. 
E senti che sei vivo.

mercoledì 19 dicembre 2012

Posta e Gatti


In Posta.
Si annuncia un'attesa di almeno mezz'ora, mi pento di non aver portato il libro.
Troppa gente per i miei gusti, in questo periodo mal tollero il chiasso, i luoghi affollati.
Mi rassegno, e appoggiata al muro osservo la moltitudine di volti, stanchezze, colori.
Arriva un tale, prende il suo bigliettino col numero. Si siede.
"Scusi, può avvisarmi quando arriva il mio turno? Da qui non vedo il display. Ho il 273".
"Guardi, io ho il 272, quindi è subito dopo di me".
"Bene, grazie".
"Prego".
Dopo un attimo si alza, si avvicina. Ha altro da dire.
"Lei è di Reana (paese alle porte di Udine n.d.r.)?"
"No".
"Neanch'io".
Mi viene da ridere ma evito, non vorrei incoraggiare.
"E' che ha un viso noto. Che lavoro fa?"
"La maestra".
"Ah, bello. Io sto facendo domanda per il concorso alle Poste. Ho lavorato a tempo determinato in Posta".
Annuisco, taccio. Mi guarda meglio, più da vicino.
"Ecco chi mi ricorda! Una collega che avevo all'Ufficio Postale! Eravamo come gatto e..."
"Come gatto e cane?", lo interrompo, cercando di concludere in fretta.
"No, no", dice lui ridendo, "eravamo come gatto e gatto!"
Bip. Lampeggia il numero 272. Saluto, mi allontano.
"Buon Natale", dice lui sollevando una mano.

martedì 18 dicembre 2012

Non siamo tutti uguali


Oggi pensavo alla maestra Anita. La mia.
A com'era facile insegnare quando il bianco era bianco e il nero era nero. 
Anita era uno scricciolo di donna che teneva in scacco venticinque indiavolati. La temevamo e godevamo di quella carezza ruvida e misurata, tanto rara quanto preziosa.
Mi capitava, sognatrice in preda a pindarici voli, di costruire mondi paralleli sotto il banco. Pesci di carta, omini di gommapane, vele rosate all'odore di Big Babol, tappi di pennarello che infilavo nell'indice e nel medio per scarpettare ad una festa danzante.
La Barbara, un giorno, fece la spia.
"Maestra, Gioia gioca sotto il banco".
Anita, tenne per un po' i suoi occhi neri nei miei, celesti.
"Gioia", disse severa "di cosa stavo parlando?"
"Del fiore, maestra. Che è formato da stame, stigma, antera, e stilo".
Anita trattenne a stento un sorriso.
"Va bene", disse "continua pure a giocare". 
Piccola Anita. Moderna. Lungimirante. Capace. Pioniera.

lunedì 17 dicembre 2012

Amarsi


Quando mi amai davvero, compresi che in qualsiasi circostanza ero nel posto giusto e al momento giusto. Fu a quel punto che riuscii a rilassarmi. 

Quando mi amai davvero, riuscii a percepire che la mia angoscia e la mia sofferenza emotiva, non sono che segnali che indicano che sto andando contro alle mie proprie verità. 

Quando mi amai per davvero, smisi di desiderare che la mia vita fosse differente, e cominciai a vedere che tutto quello che succede contribuisce alla mia crescita. 

Quando mi amai per davvero, cominciai a comprendere perché è offensivo cercare di forzare una situazione o una persona, solo per raggiungere quello che desidero, pur sapendo che non è il momento o che la persona (alle volte io stesso) non è preparata. 

Quando mi amai per davvero, cominciai a liberarmi di tutto quello che non fosse salutare: persone e situazioni, tutto e qualsiasi cosa che mi spingesse verso il basso.

Quando mi amai per davvero, smisi di preoccuparmi per non avere tempo libero e desistetti dal fare grandi piani, abbandonai i mega-progetti del futuro. 
Oggi faccio quello che trovo corretto, quello che mi piace, quando voglio e al mio ritmo.

Quando mi amai per davvero, smisi di voler avere sempre ragione e, in questo modo, sbagliai molte meno volte. 

Quando mi amai davvero, smisi di restare a rivivere il passato e di preoccuparmi per il futuro. Ora, mi mantengo nel presente, che è dove la vita si manifesta. 
Oggi vivo un giorno alla volta. 

Quando mi amai davvero, compresi che la mia mente può tormentarmi e ingannarmi. Ma quando io la colloco al servizio del mio cuore, è una valida alleata. 

Non dobbiamo avere paura di metterci in discussione, persino i pianeti si scontrano e dal caos nascono le stelle.

Charles Chaplin

domenica 16 dicembre 2012

Auguri?


In Kirghisia nessuno lavora più di tre ore al giorno e il resto del tempo lo dedichiamo alla vita.
Quando un qualsiasi cittadino compie i 18 anni gli viene regalata una casa. 
E se qualcuno desidera fare l’amore, mette un piccolo fiore azzurro sul petto in modo che tutti lo sappiano.
Lettere dalla Kirghisia (S. Agosti)

Un numero sconosciuto lampeggia sul cellulare.
"Ciao, non ti si sente mai! Quando ci vediamo per gli auguri?"
 Ah, è lei. E già questa cosa degli auguri mi va giù storta.
"Non so, dimmi tu..."
Rassegnata.
"Allora. Lunedì ho la cena di Natale coi colleghi. Martedì vado a vedere dei regali, ancora non ho preso niente. Che palle con 'sti regali. Mercoledì mi tocca cercarmi un vestitino per Capodanno, che non mi va bene niente di quello che avevo. Giovedì offro un tè natalizio ai vicini di casa. Un vero stress. Venerdì prove con il coro. Due ore a sudare. Sabato mi tocca fare la spesa, altrimenti ho il frigo vuoto per Natale. E domenica, è già l'antivigilia!"
Senso di oppressione e nausea.
"Cavolo, sei impegnatissima. Allora è meglio se ce li facciamo al telefono questi auguri.".
"Dici? Ma sì dai, che forse hai ragione".
"Auguri allora. Riposa".
"Di riposare non se ne parla! Spero di uscire viva da queste feste. Comunque, auguri anche a te".
Bene. E' finita.

sabato 15 dicembre 2012

Grazie ricevute


Il salotto della nonna è un piccolo museo silente di oggetti sacri e profani, di centrini inamidati e vecchie foto. Come tutti i salotti poco vissuti, odora di chiuso e freddo.
Questo Natale non si aprirà per ospitare il chiassoso parentame festante. La mamma che va su e giù dalla cucina con un vassoio, le bimbe di mia cugina che si rincorrono, il piatto degli antipasti che passa di mano in mano, un libro ricevuto e commentato, il cellulare che squilla per un augurio da lontano.
Pare che la casa sia troppo vecchia, che il pavimento rischi di cedere.
In realtà la nonna è stanca, mal tollera di essere più in salute del suo unico figlio maschio, da sempre così amato. Non se ne fa una ragione, trova profondamente ingiusta la grazia concessale: lei legge, racconta, ha delle opinioni, ascolta la radio, risponde al telefono, riflette. 
E non sa per quanto tempo, suo figlio potrà ancora farlo.

venerdì 14 dicembre 2012

Bolle


Le piccole cose sono le prime a sfuggirti, quando stai male.
Il piacere di rimanere qualche minuto sotto il piumone al caldo, dopo aver tacitato la sveglia.
Accendere la radio appena sali in auto, la gioia di trovare proprio quella canzone. Concederti il lusso di cantarla e di agitarti sul sedile, anche se sono le otto del mattino, hai ancora la voce macchiata di sonno, e c'è traffico.
Leggere a tavola, qualche briciola di pane fra le pagine, il bicchiere colmo che non ti decidi a portare alla bocca, perchè vuoi sapere cosa succede, nel prossimo capitolo.
Uno spicchio di mandarino fra la lingua e il palato. 
Trovare nella casella di posta qualcosa che ti parla agli occhi. E con gli occhi rispondere.
Ma ecco che appena stai male, le coordinate minime saltano.
Dividi il mandarino a metà, lo addenti. Lasci il libro aperto sulla tavola mentre sposti le briciole col dito.
Poi però, le piccole cose, sono le prime a tornare in superficie. Una alla volta, lente, come le bolle d'aria di un pesce azzurro nell'acquario. Plup. Plup. Plup.
E ti ritrovi in una sala d'aspetto, a scrutare le altrui vite nel condominio dirimpetto, pregustando (un lieve sorriso ad animarti il volto) una storia che potresti raccontare. Plup.

giovedì 13 dicembre 2012

Adulti confusi


Ho in classe una bimba. Una bimba che pare far capolino da un libro, o semplicemente giungere per vie misteriose ai nostri quotidiani affanni. Proviene da altri luoghi, forse anche da un altro tempo.
L'aspetto campagnolo e verace, i capelli biondi e incolti, quell'aria di chi può permettersi i sogni. Ma che allo stesso tempo vive ben radicato e solido, i sensi allerta, il corpo in posta.
Lei sa dove sono le cose. Lei osserva i compagni, raccoglie in un retino umori e scontenti. Lei ascolta, soppesa, economizza gesti misurati, come una formichina farebbe con la sua ultima briciola.
M'incanto quando parla, e spiega. La piccola mano che porta una ciocca dietro l'orecchio, le espressioni acerbe che emulano. Occhi al cielo, alzata di spalle, il sorriso invita.
Ecco, adesso pare che il papà si sia stancato di fare tanta strada ogni giorno per la scuolina "speciale". Non vede i risultati, dalla sua bimba non abbiamo estratto il genio.
Ma come? Non la vede? Non riesce a vederla, quella donna in miniatura? Curiosa, viva, accesa, capace di spostare gli oggetti come mai, mai ad un bambino ho visto fare. Leggerezza e cura. Rispetto e misura.
"Il papà vuole farmi cambiare scuola", mi dice ieri, e mi interroga dal basso, attende. Si chiede se ho un qualche peso io, nel suo piccolo mondo di adulti confusi.
No, mi dispiace Eli. Valgo davvero troppo poco.

mercoledì 12 dicembre 2012

Festeggiare


E a Capodanno, che fai?
No, non chiedetemelo.
A Capodanno vorrei andare al cinema. Che ne so, allo spettacolo delle 22. Se non fa troppo freddo, vorrei andarci in bicicletta. Un film bellino, di quelli che ti danno da pensare, ma non troppo. Poi a casa, mangiare un pezzo di pecorino buono, con la mostarda.
Ecco, mi compero la tisana all'arancia e cannella, per festeggiare il Nuovo Anno. Dalla finestra del salotto guardo i fuochi gialli e blu, e sorseggio l'infuso dalla tazza mia, quella con le Matrioske.
Niente cotechino e panettone. Niente agnolotti e lenticchie. Anche se dicono che mangiarne una forchettata porti assai bene.
Allora io assaggerò un po' di grazia e leggerezza. Forse, chi le assapora a Capodanno, le assapora tutto l'anno.

martedì 11 dicembre 2012

Misure


Non ho mai dosato in vita mia.
Con le emozioni, intendo.
Tante lacrime, tanto amore, tanta gioia. Tanto struggimento, tanta allegria, tanta insonnia.
Poco filtro, forse. Un'incontinente.
Adesso ci sto provando, vorrei imparare. A misurare, pesare. Strotolare il metro da sarta, gli spilli in bocca, e stabilire con ciglia aggrottate dove stringere, accorciare. Dove tagliare. Dove invece dare volume, imbastire una pence, aprire uno spacco.
L'equilibrio delle forme, dei pieni e dei vuoti.
Resterò sempre un po' incontinente temo, lo dice il mio sorriso. Ma un'incontinente che trattiene.

lunedì 10 dicembre 2012

Le ali della libertà

Reclusioni di corpi e di menti. Ma sanno di vento. Di libertà.

Le storie di Marilde Trinchero mi colpiscono in questi giorni come fendenti secchi, sordi.
Gabbie.
Scegliamo le nostre gabbie o sono loro a sceglierci? A chi consegnamo le chiavi della gabbia, a quale causa, persona, dipendenza, ricordo?
Gliele avevamo consegnate noi stesse? Per ingenuità, per un malriposto concetto di amore, per alleggerirci poichè talvolta sono pesanti da tenere?
Può essere. Ma non importa. Ciò che conta è riprendersele.
Storie di vite recluse, ma anche di speranze, perchè c'è sempre un volto, una voce, o un varco, ad indicarci l'uscita, la direzione, il ritaglio di cielo.
In chiusura Marilde parla di resilienza. La capacità di un materiale di resistere agli urti senza spezzarsi.
E' la tenacia che, appigliandoci a qualcosa (un'idea, un sogno, un amore, un progetto), ci fa dire "persevero" e supero questa barriera, spezzo quella rete che stringe, attraverso quel varco stretto, piego quella sbarra che chiude.

Brava, profonda, intensa. Ma non lo dubitavo Mari, ci sei tu, in ogni singola parola. E un po' ci sono anch'io.
Grazie.

domenica 9 dicembre 2012

Caserme e lettura

L'autunno e l'inverno non mi garbano, ma i cieli freddi dicembrini riservano sorprese. Così stamattina ho aggiunto qualche scatto alla mia collezione. Quello di oggi era blu, blu cobalto. Blu incoraggiante.
Gli interni della vecchia caserma mostrano quanto possa essere spersonalizzante un luogo che plasma e piega. Quanto si chieda a chi ne varca la soglia, di dimenticare sè stesso e i suoi colori. Di spegnersi.

Orfana di Eshkol Nevo, che dice cose come il tempo mi sudava addosso (e ti pare insostituibile, irrimediabilmente), ho invitato Mark Haddon a tenermi compagnia. Lui mi piace, e spero dirà cose intelligenti ma vado in fiducia, perchè sono quattro anni che non lo incrocio.
Nel frattempo, prima di farlo accomodare sul divano con una tazza di tè, mi dedico a due libri che mi stanno a cuore. Libri scritti da amici, che tenevo lì al caldo per giornate fredde come questa.

sabato 8 dicembre 2012

Noiosa

Quanta neve. Apre il cuore. 
Ho indossato gli stivali buoni e sono uscita. Come direbbe Ada Monroe, mentre aspetta il suo Inman, a Cold Mountain. 
Cammino, non sento freddo.
Su un cumulo di tegole e neve è posato uno specchio. Macchiato, antico. Sullo specchio, un altro specchio, forse l'anta di un armadio.
Gioia piccola mi sorride dal riflesso grigio e sfumato. Ha le guance arrossate, gli occhi accesi.
"Ehi, dove vai?", chiede petulante.
"Passeggio", rispondo, "vorrei fare qualche foto".
"E il pupazzo di neve?"
"No, non ne ho proprio voglia".
"Sei noiosa Gioia grande. L'hai almeno toccata, ti sei bagnata le mani?"
Mi scappa da ridere. Però mi chino, tolgo i guanti, sprofondo le dita nel bianco e freddo. Respiro, rimango.
Alzo gli occhi, la cerco.
"Contenta adesso?", le chiedo. 
Non c'è già più.

giovedì 6 dicembre 2012

No, niente zucchero, grazie...

Sto preparando i miei alunni al Natale.
Anche da noi, anche nella scuolina in mezzo al nulla, arriva Natale. E io che non lo vorrei quest'anno. Ma ci sono questi occhi carichi di attesa e di vita, a chiedermi due stelle, qualche lustrino. Almeno per finta.
Eccola, Somewhere over the rainbow, cantata da una stucchevole Judy Garland, mentre ci guardiamo un Mago di Oz, così seppia e patinato che pare scrollato da una gonna vittoriana.
No, non reggo tanta dolcezza.
Allora mi imbatto nella meravigliosa versione dei Ramones, cattiva e dissacrante. La faccio sentire ai bambini, che mi guardano complici. Ed è un attimo: un sorriso che scopre i denti, passa di bocca in bocca.
"Troppo bella maestra. Ce la fai ballare?". Certo.
Anche se il testo, a ben vedere, arriva sempre dove deve arrivare.

One day I'll wish upon a star 
And wake up where the clouds are far behind me  
Where troubles melt like lemon drops  
Away above the chimney tops That's where you'll find me 




Sì, fra l'altro, ventimila visualizzazioni raggiunte senza capire perchè. Però grazie. Grazie a chi c'è e legge, grazie a chi si fa leggere.

mercoledì 5 dicembre 2012

Departures


Departures è un film che porta pace. La morte e la dolcezza. La cura di corpi amati, come gesto che concilia e rende possibile l'elaborazione del lutto.
Daigo, il giovane protagonista, rinucia al suo violoncello e si ritrova a vestire e truccare cadaveri per un’agenzia di pompe funebri.
C'è poesia. 
Dice Daigo:
Nell'antichità, quando gli uomini non avevano la scrittura, per comunicare, cercavano un sasso la cui forma esprimesse i loro sentimenti e lo inviavano all'altra persona. Chi lo riceveva, dalla sensazione al tatto e dal peso capiva i sentimenti di chi l'aveva inviato. 
Ci sono momenti in cui le parole pesano. Consegnare l'emozione sul palmo della mano, lasciare che sia l'altro a leggerla. E avere la certezza, sollevando gli occhi, che le parole non farebbero di meglio.

martedì 4 dicembre 2012

Ascesso



Si muoveva come raccogliendo ogni volta pezzi di se stessa che non erano destinati a rimanere insieme. Il suo corpo sembrava il risultato di uno sforzo di volontà. 
Mr Gwyn (A. Baricco)

Dal medico, in sala d'aspetto.
Di solito leggo un libro, ma oggi non mi riesce.
"Sa cosa penso?", chiede una signora anziana alla vicina, con cui sta discorrendo di figli, vita, dolori dell'anima.
Questa, la busta gialla dei raggi posata sulle calze spesse, annuisce, in attesa.
"Penso che quando uno sta male, deve concentrarsi su quello. Inutile dire che ci si deve distrarre. Perchè se un ascesso ti duole, non senti altro. Allora provi a prendere un pastiglia, metti il ghiaccio, ma non c'è niente da fare. L'ascesso deve maturare, essere inciso e poi verrà il tempo della guarigione. Ti tieni il tuo male, finchè passa, è tutto lì".
Caspita.

lunedì 3 dicembre 2012

Il bagaglio

Un'ora, di orologio. Alla finestra.
A chiedersi guardando il giardino, nel sole freddo, quale fosse il senso.
La tazza di tè fra le mani, le piccole volute ad appannare una superficie nebbiosa, un oblò al contrario. Guardare la luce attraverso il vapore condensato.
No, un senso non c'era. Perchè cercarlo?
Pensò a quello che aveva infilato. Nella cartella rossa, nel bagaglio a mano, nel fagotto in spalla, nella tasca del cappotto.
Briciole. Ma lucenti.
Sassi. Ma di zucchero.
Chiavi. Ma dorate.
Monete. Di luoghi e paesi sconosciuti.
Grazie. Grazie. Lo pronunciò ad alta voce, appena un po' rauca. Ne farò tesoro.
Allora si disse che sì, poteva farcela. Poteva raccogliere ogni cosa, esporla in bell'ordine sul tavolo scuro, e attendere. Che le chiavi spalancassero la porta giusta, che le monete potessero pagare il cocchiere, che un raggio di sole colpisse le briciole illuminandole, che la sua lingua leggera finalmente accarezzasse un dolce sasso.

sabato 1 dicembre 2012

But give me to a rambling man


Ma datemi a un giramondo
Che si sappia per sempre che ero quel che sono.


È divertente come i primi accordi che ti vengono in mente
Sono le note minori che ti suonano una serenata
Ed è difficile accettarsi come qualcuno che non si desidera
Come qualcuno che non si vuole essere


Oh, datemi a un giramondo
Che si sappia per sempre che ero quel che sono.

Particolari


Ho raggiunto il centro in bici, e ho fatto bene. Freddo (guanti e sciarpa, oggi non potevo evitare), ma l'aria non pesa, scende giù e risale pulita.
Rientrando, dopo l'ottimo cappuccino chiacchierato e proficuo, ho zigzagato attraverso uno sciame di bimbi in uscita da scuola. Genitori in affanno fra zaini e berretti.
Proprio lì, ho intravisto qualcosa di noto. Un po' come nel gioco enigmistico in cui il corvo parlante ti invita a trovare l'oggetto: fra i tanti particolari insignificanti, un elemento spicca.
Eccolo Mario, il figlio del macellaio. Avevo dodici anni, lui almeno venti. Io innamorata persa, lui che beatamente mi ignorava. Io goffa e lunghissima, lui bello, impossibile e scanzonato.
Ebbene, ho visto il Mario che caricava in auto il suo figliolo, ma del Mario c'era rimasto poco. Le spalle appena curve, il volto spento, un'aria vinta. E non è questione di anni, di età. Ma di piglio. Mario oggi aveva il piglio di uno che ha perso qualche battaglia.

La signora che vive in fondo alla via, non esce più. In corsa verso casa  ho visto la sua badante che stendeva i panni in giardino. Ma di quel piccolo, anziano donnino, non v'è traccia.
E dire che fino a qualche anno fa era il terrore di ogni vicino in possesso di buone facoltà mentali. Perchè si appostava, attendeva al varco, per poi, con balzo felino, ghermirti impedendoti ogni azione, replica, difesa.
Mezz'ora di sequestro, non un minuto di meno. 
Allora era tutto un gioco di scarti, evitamenti, fughe.
Ora, quasi ne sento la mancanza.


venerdì 30 novembre 2012

Vento che parla


Grazie a Pier, cito da Chocolat.

C’era una volta un piccolo e silenzioso villaggio nella campagna francese; gli abitanti credevano nella Tranquilité, la tranquillità. Se vivevi in questo villaggio, sapevi ciò che ci si aspettava da te. Conoscevi il tuo posto nello schema delle cose. E se ti capitava di dimenticarlo, qualcuno ti avrebbe aiutato a ricordarlo. In questo villaggio, se vedevi qualcosa che non avresti dovuto vedere, imparavi a guardare dall’altra parte. E se per caso i tuoi desideri non erano stati soddisfatti, imparavi a non chiedere mai di più. E cosi, nel buono e nel cattivo tempo, nella fame e nelle feste, gli abitanti del villaggio si mantenevano saldi alle loro tradizioni. Finché, un giorno d’inverno, non soffiò un irrequieto vento del Nord…

Sbirciare finalmente fuori dalla porta, ma anche filtrare il dentro, come un bambino fa col setaccio, la sabbia fine e le conchiglie.

Il vento parlò a Vianne di paesi ancora da visitare, di amici bisognosi ancora da scoprire, di battaglie ancora da combattere…da qualcun altro, la prossima volta.
E fu così che il vento del Nord si stancò e andò per la sua strada.

Considerato che il cioccolato è la panacea di tutti i miei mali, il saluto del mattino spalmato sulle fette dorate al sesamo, il fondente accostarmi alle ore della sera e della lettura, direi che la citazione si cuce bene su di me.

giovedì 29 novembre 2012

Crostini e direzione


Piccolo summit serale. Non devi spiegare niente, no, puoi solo stare.
Un crostino al baccalà, un bicchiere di vino. 
Si parla.
C'è chi vuole mollare, e tutti a dire che non è il momento. No, non adesso, hai un valore, un peso. Conti. Ci mancheresti ogni minuto.
E lei, che non avresti detto. Più vicina di quanto pensavi. E lui, che scruta, osserva, coglie.
Poi c'è chi infila una notizia perfetta. Di quelle che sanno solo di Vita. E scatenano abbracci, commozioni, gesti goffi.
Ci sono anche i sorrisi, che passano da una bocca all'altra, e contaminano anche te, che magari non hai voglia. Allora alzi le sopracciglia, scambi uno sguardo che dice tanto, fai cenno con la testa, ridi. 
Fuori, ci accoglie la piazza, e un vento freddo mi spettina le intenzioni. 
Vorrei sapere dove andare. Ma stasera capisco che presto, mi sarà chiaro.

mercoledì 28 novembre 2012

Ti dicono


Ti dicono cose inutili. Le scavalchi.
Ti dicono cose belle. Ti sorprendi, raccogli. Metti da parte, per il tempo di magra.
Ti dicono cose di peso e spigoli. Allora dipende da come stai. Da come si muovono le tue mani. Inquiete, lievi, carezzevoli, fresche, nervose. A seconda. Le cose pesanti possono lambirti appena, o fenderti. Lasciare tracce di lumaca o lasciarti dissanguato.
Conta però dove le depositi, infine. Perchè scartarle non puoi, le devi conservare. 
Ma dove? 
In frigo, pronte per essere recuperate quando sei pesto, liso, e sai di poter scendere ancora più in basso? 
In cantina, umide di risentimento, scure di dolore? 
O in soffitta, archiviate e soffici di polvere, sotto un nido di rondine?

lunedì 26 novembre 2012

Amori complessi


Caro Moreno,
questa sera novembrina e fresca, mi porta l'odore di casa tua. Un misto di cavolfiore e cera spray, di appretto e fogli di quaderno. 
Vite diverse, le nostre. La tua mamma faceva la casalinga, la mia infilava perle. Il tuo papà timbrava il cartellino, il mio si occupava di moti terrestri. Io non portavo la merenda a scuola (mi comperavo le patatine strada facendo), tu estarevi dalla stagnola lucente favolosi panini con l'ossocollo.
Quanta invidia. Quanto avrei desiderato una mamma imbellettata e col grambiule, come la tua. Rassicurante, come la pubblicità dell'ammorbidente.
Tu mi amavi, lo so. Perchè costruivo mondi. Il forno volante, le infinite storie d'amore al Saloon (ti ricordi, come ti insegnavo a strizzare l'occhio alla bionda svampita, che peraltro ero io stessa?), i cugini invisibili, che vedevo solo io, ma dei quali ti riferivo i messaggi in codice.
Posso ben capire, che incontrando mia madre presso la banca in cui lavori, qualche anno fa, tu abbia dichiarato con un sospiro "Gioia...non l'ho mai dimenticata".
Ti sfido io.

domenica 25 novembre 2012

Specchi


L'ha abbracciato talmente forte che lui non ha avuto altra scelta che smettere di agitarsi dentro l'abbraccio.  
(E. Nevo)

Dobbiamo essere centrati, bastarci. Ma è nella relazione che noi ci definiamo. Nello specchio.
Yuval, nella Simmetria dei desideri, finisce per allontanarsi da quello in cui crede, dalla sua essenza. 
Non capisco cosa ci sto a fare qui.
Non capisco più cosa significa la parola "io".
Non capisco cosa mi distingue da una bestia.
Non capisco perchè vorrei gridare ma la voce non mi esce.
Non capisco cosa c'è da capire.
Non capisco niente.
E' quando ritrova Amichai, l'amico di sempre, le spalle larghe e l'andatura allegra, e si riflette in quello sguardo pulito, che si riprende quello che credeva perduto. Amichai porta il ricordo di uno Yuval sano, autentico, amato. E lo riconsegna all'amico.
Sei arrivato al momento giusto fratello, sei arrivato un attimo prima della disperazione. E per fortuna che sei arrivato tu, fra tutti. Perchè nessuno è capace più di te di ricordarmi che al mondo esiste il bene.
Improvvisamente, grazie alla presenza di Amichai, mi sentivo di nuovo un essere umano.

sabato 24 novembre 2012

Talenti


Ognuno porta i suoi talenti. Più o meno eclatanti, più o meno luminosi.
Ad alcuni, non è stata data la possibilità di dirli, di mostrarli. I più fortunati invece, si guadagnano da vivere con i loro talenti. 
L'importante, è riconoscerli.
Sì, ci sono i mistificatori, quelli che camuffano le strategie da talenti. Le astuzie da virtù. Ma non hanno tenuta.
Io so vedere. Con i bambini, questo risulta più evidente. E' come se li accogliessi senza le paure, la fragilità, i fili invisibili tesi da chi li ama. Nudi.
Quando indosso l'abito della psicomotricista (mestiere per il quale sarei formata, ma che mi carica addosso tutto l'altrui dolore), e metto un bambino nelle condizioni di mostrarsi e consegnarsi a me, so dare il meglio. Estraggo oro. Un talento. 
Eppure, ho scelto un'altra strada. Meno sconnessa, meno esposta.
Ieri ci pensavo. Se la Vita ci affida un talento, non possiamo permetterci di lesinare. Dovrei metterlo a servizio, questo dono, e donarlo, a mia volta. Non capitalizzarlo, solo offrirlo.

venerdì 23 novembre 2012

Dalla cenere


"Quando la notte" della Comencini. E "Come Dio comanda", di Ammaniti. 
Romanzi che amo, e che hanno trovato una felice trasposizione cinematografica.
Timi ha dato volto e voce a Manfred e Rino Zena. Personaggi aspri.
«Magari non avrei fatto questo mestiere meraviglioso se non mi fossi ritrovato a rischio epilessia, balbuziente e mezzo cieco», confessa.
È balbuziente, ex obeso, di origini proletarie e da anni convive con il morbo di Stargardt, malattia rara, che atrofizza le cellule coniche dell'occhio. Ma è attore, poeta, pittore. Scrittore.
«Però che fatica, a volte. Sarà perché noi balbuzienti attiviamo anche trecento muscoli alla volta, incluse le dita dei piedi, nello sforzo per far uscire una parola. Ma con gli anni ho imparato a voler bene alle mie paure, ci rido sopra. Non siamo così importanti».
Non siamo così importanti. Se potessimo esserne davvero consapevoli.

giovedì 22 novembre 2012

Presenze


Sì, sono difficile da sostenere in questo periodo.
Chiedo venia, pubblicamente.
Allora grazie. A chi accoglie, ascolta e prova a dire. A chi prende le misure e non domanda. All'amico che mi confeziona la cura omeopatica per dormire (ehi, pare funzioni!), alle parole ponderate di un'amica sopra il cappuccino fumante. E allo sguardo dolce e severo di chi mi soppesa, mentre scrivo alla lavagna o faccio una fotocopia. Alla mamma che mi chiama da Bologna e dice "ti compro qualcosa?", così, come niente fosse.

Ultimo frammento

E hai ottenuto quello che
volevi da questa vita, nonostante tutto?
Sì.
E cos'è che volevi?
Potermi dire amato, sentirmi
amato sulla terra.
(R. Carver)

mercoledì 21 novembre 2012

Les routines


Sono abitudinario. 
Ogni mattina percorro la stessa strada. Attraverso corso Cavour, prendo il giornale e svolto a destra. Bevo il caffè al numero 24 di via D'Azeglio, sempre macchiato e senza schiuma.
Potrei cambiare, le varianti sarebbero infinite. Invece preferisco ripetermi: stessi luoghi, stessi sapori, stesse facce, stessi cani a spasso. Una rassicurante coperta lisa.

Martedì.
Fermo al passaggio pedonale in attesa del verde, ho visto una donna che leggeva, camminando. Una falcata lunga, una gonna gitana.

Giovedì.
Ieri non indossava la gonna da zingara. Però leggeva, tenendo il libro alto. Quando ha attraversato la strada ho visto il titolo: La vita davanti a sè.
Allora durante la pausa me lo sono comperato, magari un titolo così mi aiuta.

Venerdì.
Ho deciso di seguirla. Così tanto per fare. Vorrei vedere dove va, che lavoro fa. Deve aver messo a punto una tecnica per leggere mentre cammina, perché evita persone ed ostacoli, senza mai calare il libro.
Lavora alle poste. Non l'avrei detto.
Un ufficio postale appena fuori dal centro storico, ma piccolo, con due sportelli. Quando varca la soglia la porta scorrevole si apre, e lei ripone il libro nella borsa.

Lunedì.
Dovevo inviare un plico. Così, invece di raggiungere la posta centrale, un isolato dietro l'ufficio, ho camminato. Gli occhi sulle punte delle scarpe, l'oscillare lieve delle braccia.
C'era gente.
Mentre aspettavo in coda la osservavo: il suo modo di muoversi richiama la falcata. Senza fretta, con attenzione, cura. Sorride ad una signora che riconosce, si rivolge ad un bambino, gli chiede qualcosa.
“Buongiorno. Prego”.
“Devo inviare questo”.
E' spettinata. Mi verrebbe da scostarle i capelli dalla fronte. Sotto, scuri e appena cerchiati, gli occhi si muovono sulle cose. Il timbro, una penna, il telefono.
“Mi fa una firma qui?”
“Non ha detto firmetta, vero?”
“Come, scusi?”
“No. Dicevo che si usa il temine firmetta. Lo trovo orribile”.
Ride, mi guarda da sotto, mentre firmo.

martedì 20 novembre 2012

Genere

Due chiacchiere con Matteo, 3 anni. Pronuncia la effe al posto della esse. La zeta al posto della ci. Dimentica la erre.
"Maestra io non posso essere una femmina".
"Perchè?"
"Perchè nei pantaloni c'ho la superficie".
"Cos'è la superficie?"
Lui serio, si infila le mani nei pantalloni di velluto.
"Ecco, è questa carne che tocco qui, la superficie".

lunedì 19 novembre 2012

In vena di ricordi


Non mi capita mai di pensare con nostalgia alla mia infanzia. Trovo che sia dura, essere bambini. Alla faccia della spensieratezza e dell'assenza di peso.
Però c'era Giovanni. Quando estraggo dal sacchetto dei ricordi belli, lo ritrovo, sempre.
Giovanni ben pettinato e col grembiule, che cucina un soufflè.
Giovanni appisolato sulla poltrova di velluto verde, le mani grandi posate sul gilè.
Giovanni col cappello, il cane al guinzaglio.
Giovanni composto sulla sedia, che legge Pinocchio a una me troppo curiosa, che interrompe e interrompe.
Giovanni che allontana quel primo morosetto, reo di avermi accompagnata a casa in canna alla sua bici rossa.
E' valso bene un'infanzia, questo nonno passionale, bello. Che onoravo di riccioli biondi e devoti saltelli.

domenica 18 novembre 2012

Crescere, raccontarsi

In fondo siamo come tutti, entriamo in una discoteca di fighetti, guardiamo le fiche come dei morti di fica, cerchiamo le puttane mentre il mondo va a puttane, e torniamo a casa lobotomizzati dal destino, inevitabile, di fare prima o poi, quel che fanno i tuoi vicini di casa - almeno morissero tutti nel prossimo terremoto che ci raderà al suolo -, perché i tuoi vicini sono il modello di uomo da rispettare, e te invece sei la pianta selvatica da estirpare, il fagiolo delle fiabe che germoglierebbe gigante, ma che viene ridotto a bonsai...

Adolescenze. 
Leggo di altre vite.
Si può scrivere la propria biografia da burocrati: elenchi, nomi, date.
Si può raccontare sè accompagnando il lettore ad annusare, sbirciare, origliare. Sulla soglia.
Si può invece vomitare quello che è stato, con la crudezza e la forza della verità. In cima alla vertigine, rischiando la censura, il rifiuto, la paura che genera l'abisso altrui. Perchè è sempre un po' anche il nostro.
La potenza della vita, che se la vuoi raccontare, non è roba da sfiorare, ma su cui sbattere di faccia.
Adolescenze. 
La mia impervia, grigia, di periferia. Poteva essere rischiosa, ma io sempre al timone, sempre in bilico, stolta e saggia. Anche quando tutto intorno perdeva i contorni, e circolava quello che non doveva circolare, e l'amica si svendeva, e i colori erano troppo forti. 
Quindici anni, un metro e settantacinque di controllo e sensi allerta. Lì ho imparato a tenere le redini ben salde. Ma ho fatto tutto nei tempi sbagliati. Sono cresciuta troppo in fretta.

sabato 17 novembre 2012

Ancora sabato


Sorprese.
E' finalmente arrivato il libro di Marilde.
Ora me lo godo.
C'è qualcosa di prezioso che scorre quando ci si mette all'ascolto delle vite altrui.
Sì, io potrei nutrirmi di storie.
La vecchia filanda che volevo fotografare da dentro, è inaccessibile. Scavalcherei anche il muro, ma misura almeno tre metri.
La vecchina un po' persa che sembra custodire i segreti di questo luogo, si rifiuta di aprirmi il cancello e continua ad accarezzare un gatto rosso, mentre mormora che tutti vogliono entrare lì dentro.
Prima o poi, ce la farò.

giovedì 15 novembre 2012

I Will Wait



Now I’ll be bold
As well as strong
And use my head alongside my heart
So tame my flesh
And fix my eyes
I tethered mind freed from the lies

And I’ll kneel down
Wait for now
I’ll kneel down
Know my ground

Raise my hands
Paint my spirit gold
And bow my head
Feel my heart slow

Cause I will wait I will wait for you
And I will wait I will wait for you
And I will wait I will wait for you
And I will wait I will wait for you