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Dunque, io ho una terapeuta.
Suona piuttosto nevrotico dichiararlo: mi sento vagamente Woody Allen. Ma tant'è.
Il suo approccio non è freudiano o junghiano, pertanto niente lettino, schiena eretta, gambe accavallate, paziente dallo sguardo perso nel vuoto a caccia di ricordi fallici.
La mia terapeuta, che chiamerò "S." è una donna giovane, carina, col sorriso aperto e gli occhi profondi.
Vedo S. una volta alla settimana, da quattro anni. Abbiamo costruito qualcosa di intenso e bello. Spesso a fine seduta (se non ci sono altre persone in attesa), parliamo di vacanze, progetti, libri, incontri.
Le porto un fiore, a volte. Se ho appuntamento ad ora di pranzo, lei mi offre i suoi crackers Misura e i suoi biscotti danesi troppo burrosi.
Quando sono stata in bilico, in bilico davvero, mi ha chiamata una domenica (pessima giornata per i depressi) solo per salutarmi.
Insomma, oggi S. se ne esce candida con: "mi sa che manca poco, ci siamo quasi".
Ci siamo quasi? Cosa minchia significa? La guardo basita e taccio.
"Sì", aggiunge lei "credo che tu sia proprio sulla soglia".
Ora capisco. Sganciarsi, andare, camminare da soli. Da un lato mi piace l'idea, dall'altro mi spaventa.
"E quindi?", le chiedo sgomenta.
"E quindi mi mancherai un sacco", risponde lei, inclinando un pochino la testa.
Ok S., dammi un attimo, devo ancora digerirla questa cosa. Ma quel giorno arriverà, e credimi, sarai proprio orgogliosa del mio morbido incedere.