Li ho visti, i tre spiriti.
Non sono Scrooge, ma nel mio personale "Canto di Natale" sono apparsi nottetempo destandomi da un sonno tormentato e leggero (devo forse imputarlo al mix mostarda di fichi e crostata alla Nutella?).
Lo Spirito del Natale passato aveva le sembianze della signora Premru (cognome del nord est monovocalico), che quand'ero bambina si prendeva cura di me alcune sere alla settimana. Della sua casa ricordo odori speciali, tovaglie di plastica a fiorami e due nipoti teppisti che mi invitarono ad infilare un fil di ferro nella presa della corrente.
La signora Premru si è palesata di bianco vestita, mostrandomi l'abete che addobbavo con la mamma, carico di cioccolatini rossi. Buoni erano, da far fatica a non mangiarli tutti.
E via, uno ad uno, sono sfilati i Natali passati. Spumante, calze velate, tortelli, jingle bell, sciarpe a righe, biscotti a stella. Uno sopra l'altro si sono posati, coi volti e le voci e le risate e qualche respiro da chiudere gli occhi e aprire le spalle. Tutti lì.
Io non dimentico niente. Niente.
Poi è arrivato lui, lo Spirito del Natale presente, e l'ho riconosciuto subito. Elzéard Bouffier, quello col cappellaccio e le ghiande in tasca, che piantava gli alberi: in vent'anni trasformò un deserto in una foresta.
Senza tante parole, come tutta la gente di montagna, si è cavato di tasca una ghianda, e me l'ha data.
"Ci vuole pazienza", solo così ha detto.
Grazie tante Elzéard, io ci provo, ma non è mica facile.
Lo Spirto del Natale futuro si è annunciato festoso: un cane dagli occhi intelligenti e dal pelo biondo. Mi chiamava infilando il bosco, poi si voltava, come ad aspettare. Ho guardato in su appena oltre il fitto, e l'ho vista, di legno e pietra. Dal camino usciva un filo di fumo. Mi sono affrettata leggera, nella bocca un'impazienza di sorrisi.
A titolo precauzionale, stasera ho digiunato.