giovedì 28 febbraio 2013
Etciù!
Ma da quanto non me ne stavo a letto, con un'influenza?
Dalla notte dei tempi.
Stamattina non c'è stato verso, il corpo si è ribellato. Ero raffreddata, avevo le ossa rotte, le guance bollenti.
Ma mi sono vestita lo stesso, per andare a scuola.
E' stato lo specchio a inchiodarmi: occhi lucidi e cerchiati, linfonodi gonfi.
E il termometro si è imposto.
Intanto, tutti a dirmi che fuori stava esplodendo la Primavera.
Ma come, senza di me?
L'ho osservata dalla finestra, spostare qualche nuvola da est a ovest. Screziare di celeste e bianco i vetri della casa di fronte. Passare lieve una mano sui boccioli del rosaio giallo, che pare ancora dormire.
Sì, l'ho vista. Sta preparando ogni cosa.
Serve solo un po' di pazienza.
mercoledì 27 febbraio 2013
Prego, siediti.
Prendersi cura di.
Viene dall'Analisi Transazionale.
Prendersi cura del proprio dolore, della propria rabbia, delle paure.
Significa guardarli bene in faccia, in qualche modo accoglierli, aprire loro la porta.
Benvenuta paura. Cosa sei venuta a dirmi?
Oggi ho visto con lucidità il mio limite. Eccolo lì, esposto.
La paura mi fa tremare, cedere le gambe, inciampare.
Mi mette in posizione subalterna, di attesa.
E io non voglio che accada, no, non più.
Allora paura, accomodati qui sul mio divano. Adesso che ti vedo da vicino, non sembri poi così grande.
martedì 26 febbraio 2013
Così
Così stiamo a casa
Ed io sono al tuo fianco
E tu sai
Cosa sta succedendo dentro
Dentro il mio cuore
Dentro questa casa
Ed io voglio proprio, lasciarlo uscire per te
Io sento il tuo calore
E mi sento come a casa
lunedì 25 febbraio 2013
Mani
Le tue, sono mani che hanno spinto sempre troppo in fondo alle tasche.
Non so se sia così.
So che non sono mani da principessa.
Le immergevo nell'acquaragia, quando pulivo i pennelli in laboratorio. Le lasciavo coperte di polvere di legno e le sporcavo di vernice. Le unghie si spezzavano, fragili, maneggiando le assi di abete.
Per protesta, si coprirono di una dermatite brutta e ostinata, che curai solo con il cortisone.
Non mi importava. Le mani, servivano a fare.
E adesso, vorrei guardarle con clemenza. Sono mani abbronzate, solide, che hanno elargito carezze e stretto, ostinatamente, la corda.
Ora, che la lasciano andare, si posano sulle ginocchia, come in un'attesa.
domenica 24 febbraio 2013
Dissimili
Nevica. Poi piove.
Guardo il tetto lustro e bagnato della casa di fronte. Il mio orologio delle stagioni. Delle fasi del giorno.
La casa di fronte ha due terrazze, una per appartamento: primo e secondo piano. Due terrazze uguali: stessa struttura, stesse dimensioni.
Ma quanto sono dissimili.
La prima è scarna, impersonale. Ma ordinata, pulita, sgombra. Una tenda bianca e pesante impedisce di guardare chi si muove, dentro casa.
La seconda è l'elogio del caos. Lavatrice, cestini, spazzoloni, sacchetti e oggetti che si vanno via via accumulando, in un crescendo di ordinario disordine umano. E spesso, osservo un lui o una lei, transitare dietro al vetro, e provo ad immaginare le loro voci.
"La cena è pronta".
"Arrivo".
Non so quale terrazza vorrei essere. Forse, esiste una via di mezzo.
sabato 23 febbraio 2013
Lego house
Dovrei organizzarmi bene, in questi giorni un po' allo sbando.
Cambiano le abitudini, i pensieri, le incombenze, le parole.
Cambia tutto.
Anche raccogliersi i capelli ha un altro senso. O passarsi il rossetto. Sembra che ogni gesto debba nuovamente radicarsi, per essere vero, compiuto.
Mi piacerebbe muovermi in una comunità vasta, di volti e voci. Come quando, durante i campi estivi di volontariato, mi saziavo così tanto della presenza altrui, da desiderare una solitudine infinita. Dopo una settimana di colazioni, pranzi, cene, corvée di lavoro condivise e densamente relazionali, chiedevo solo silenzio e tempo dilatato.
Stamane ho visto Mary. Poi Claudia. Dopo arriva Jessica. Domani un tè con Serena.
E nei tempi morti mi metto assieme, un pezzetto dopo l'altro, come facevo da piccola con il Lego e le mie casette multicolori.
Rosso, bianco, giallo, blu, verde. E il balcone, con i fiori. Un po' alla volta.
venerdì 22 febbraio 2013
Grazie amica Daffo
“La Vita ci chiama.
Continuamente, costantemente, alacremente. E soprattutto, nei modi e nei tempi
più disparati e impensati. Perché è Lei che decide.
E a
noi spetta restare attenti, vigili, sensibili alle sue più impercettibili
manifestazioni, così come alle invocazioni più roboanti.
La Vita ci sollecita all’appello
anche con quei malesseri psicoemotivi che spesso cerchiamo di sedare sul
nascere con il tranquillante, la pastiglietta, l’antidepressivo, o
l’antidolorifico. Come se una sofferenza dell’anima possa essere ammutolita con
rimedi infinitesimali e istantanei.
Il
dolore richiede ascolto, comprensione, compassione, cura, intesa come amorevole
presa a cuore. L’insoddisfazione, la frustrazione, la rabbia, ogni singola
manifestazione che turba quel sottile, fragile equilibrio che devia dalla
condizione di ben-essere, deve essere presa in esame. Accolta, accettata,
compresa, lasciata andare. E’ solo andando alla radice, scovando il lato
nascosto, spesso simbolico, di ogni singolo messaggio, che si può decodificare
e dare un senso a quel che la
Vita ci sussurra.
Siamo
stati abituati fin da piccoli a porci obiettivi, mete ambiziose, agire di
continuo, piegare la realtà per ridurla a nostra immagine e somiglianza.
Giochiamo a chi grida più forte. In tutto questo processo, però, si è scivolati
nel pericoloso estremo di non considerare che, in realtà, un’ampia quota di
Vita ci sfugge dalle mani e da qualsivoglia forma di previsione e di controllo.
E questo ci scotta. Proprio a noi che abbiamo inventato le previsioni meteo
valide per giorni e giorni, i navigatori satellitari che in tempo reale
indicano le strade interrotte e le condizioni del traffico.
Spesso
la Vita
disorienta, e non c’è bussola che tenga.
E
allora torna prepotentemente a farsi largo la necessità di ascoltare, quei
sottili spesso flebili segnali, specie se si continuano ad urlare i propri ‘no’,
i ‘voglio’, ‘desidero’, ‘mi spetta’. Arriva un giorno in cui ci si deve mettere
da parte e lasciare fare alla Vita, rispetto alla quale si diviene umili
servitori.
Che
smacco.
Per
certi versi è liberatorio: c’è un progetto di Vita per ciascuno di noi. E la
responsabilità e la quota di libertà che abbiamo sta in questa adesione,
convinta, sentita.
Per
chi resta nel versante dell’opposizione – “Sarà come dico io!” – risulta una
prigione mortale. Per l’anima. E talvolta anche per il corpo“ .
(Articolo di Anna Fata)
giovedì 21 febbraio 2013
A piccoli passi
Sai, quest'anno pensavo di andare in vacanza a Torre dell'Orso. In campeggio, senza pretese. Se vieni, ci attrezziamo con quello che c'è, poche comodità e vita allo stato brado.
Sapere di avere solo quattro stracci in valigia, mettersi al tavolino da pic-nic, una birra fresca, familiarizzare con i vicini.
Ma ci vedi lì, sedute con la nostra birra, a dire cazzate?
Amica mia.
E' stato una carezza questo tuo messaggio, stamattina. Navigavo a vista, e tu l'hai sentito.
Certo che mi vedo, lì con te. In un Salento che non conosco, una canadese da montare, le infradito ai piedi e le gambe allungate al sole.
Quindi, prenotiamo. Io ci sto.
martedì 19 febbraio 2013
Cuore di mamma
Dimmi cosa ti preparo.
Il pesce? Quello crudo che ti piace?
O meglio la carne?
Perchè se mi dici cosa mangi volentieri, io preparo.
Una cosa che ti stuzzica.
Pensaci.
Fai come sempre mamma...
Come sempre.
Cosa vuol dire "come sempre"? Che lasci lì la roba in frigo e poi butti via tutto.
Non voglio sprechi.
Se esprimi qualche desiderio, io cucino più volentieri.
Allora le polpettine.
Le polpettine?
Che tristezza. Non era meglio il pesce crudo?
O la tartara?
..................................
Vabè.
lunedì 18 febbraio 2013
Stare, solo stare.
Oggi sulla mia auto, due donne.
Io silenziosa, in ascolto. Il pensiero a quel cagnolino che vorrei adottare, per un segno di allegria, per un incondizionato sguardo.
Lei, seduta davanti, ha la sua bella età. I capelli bianco neve e la sciarpa arancione.
Lei, seduta dietro, coltiva una pancia che cresce e che già accarezza assorta.
Mi faccio scaldare dalle parole di lana grezza, lascio che mi tocchino, e taglio coi fari questa sera neroazzurra.
E mentre faccio il pieno al self service - e da fuori le osservo ridere, nel caldo dell'abitacolo, come in una boccia di vetro - respiro quell'odore di benzina, denso come sa essere solo la vita.
domenica 17 febbraio 2013
Domenica sera
Per la prima volta guardo lo spazio bianco del nuovo post, con la voglia di dire qualcosa ma non so cosa sia, "qualcosa".
In realtà sono giorni che di parole ne uso tante, troppe.
E sempre le stesse.
Ma la cosa strana (ci pensavo oggi, passeggiando nel vento freddo con una donna coraggiosa e forte che ha potuto solo accogliermi) è che mentre dico e dico, le cose non si consumano, ma si svelano. Come se ogni volta un particolare nuovo prendesse luce, e il quadro si componesse.
Domani è lunedì, si torna a scuola. E mi sembra un po' il primo giorno, quando ricominci, la testa ancora altrove e tu a ripescarla vanamente.
Preparerò un calendario col conto alla rovescia: trentadue giorni, dal 18 febbraio al 21 marzo. Un foglio via l'altro, fino all'equinozio.
Allora, pic-nic al parco, sull'erba.
Farò ordine nella mia aula, sempre troppo satura. Troverò un nuovo libro da leggere ad alta voce.
L'ultimo, chiudeva così:
Non importa chi sei nè che aspetto hai. Basta che qualcuno ti ami. (R. Dahl)
sabato 16 febbraio 2013
Ago e filo
Ho cucito i due pezzi di me.
Quella che ero, quella che sono.
Quella che ero, si specchiava in amorevoli occhi, in gesti così familiari da confondersi coi miei. E voleva accanitamente esistere, per non infrangere, per gli album dei ricordi, per rimanere nel territorio sicuro della tracciabilità. Ogni cosa al suo posto.
Tenacemente restava, per onorare promesse bambine, sogni costruiti con mani incerte.
Eccola, vestita da donna grande al suo diciottesimo compleanno, il mezzo tacco e l'acconciatura austera.
E ancora eccola, il sorriso aperto e senza domande, colma di certezze. E di fragilità.
Bella, dolce, ingenua.
Quella che ero mi assomiglia, ma chi incontra quella che sono non ne trova echi o tracce.
Chi ha profondamente amato quella che ero, perseverando nell'estrarre dalle mie cavità - come farebbe un archeologo paziente e accanito - i residui, le briciole, la tenera inconsistenza di un tempo, non può amare quella che sono. Chi ha profondamente amato quella che ero, raccoglieva i miei cimeli, e li spolverava con infinita attenzione. Per conservarmi.
Quella che sono non pensa che la paura debba guidare le sue mani, i suoi
occhi. Vorrebbe solo camminare sicura, e non dover chiedere, se non a
sè stessa. Ed essere quello che è. Anche imperfetta, se capita.
Muta
Quando leggevo di blog che chiudevano i battenti, che cercavano altri spazi, luoghi, più consoni e più coerenti con parole e pensieri nuovi, scaturiti da cambiamenti epocali, storcevo il naso.
La mia pelle è la mia pelle, e si adatta al mio crescere, al mio mutare. I miei occhi, gli stessi colori e gli stessi lampi gialli di quando saltavo all'elastico.
Perchè non può, questa creatura leggera e virtuale assecondare il mio cambiamento? Mantenere la sua carta colorata, la sua buccia, il suo involucro, ma nella sostanza, parlare di un'altra "me"?
Devo chiudere una parentesi di parole, di immagini viste e sognate, di incipit appena sbocciati, per aprirne un'altra? Più simile a quella che sono, adesso?
Non lo so. Ci penso da ieri.
mercoledì 13 febbraio 2013
Doni
Oggi ho detto a qualcuno che la scrittura, quella che apre i cassetti, mettendoli sottosopra, rovesciandoli, sgarfando famelica fra le cose intime che porti addosso, è un dono. Un dono, per definizione, vuole gratuità. Quindi, chi ha ricevuto il dono gratuito del saper dire, può e deve a sua volta dire, gratuitamente.
Ma la cosa più difficile, è superare l'autocompiacimento insito in chi manipola parole. Quel sottile, e a volte potente riconoscimento di sè e delle proprie capacità di raccontare, evocare.
Scrivere è comporre incanti. Costruire immagini e mondi. Creare.
Facile, davvero facile l'abbaglio del potere.
Vorrei scrivere solo per amore. Ricamare pazientemente, oppure scrivere di getto, o ancora scalpellare, con rabbia. Ma vorrei fosse l'amore a guidare ogni segno, la scelta di una parola, il ritmo lento da assaporare o quello sincopato, da mordere.
E l'amore sa esssere solo dono.
martedì 12 febbraio 2013
Natura che chiede
Pensieri che prendono sentieri impervi, e non ne vogliono sapere di seguire le molliche di pane che lascio loro disseminate a terra.
Forse non le hanno viste, perchè nevicava.
Il vento a sbattere senza posa alle finestre:
"Ehi, qui fuori infuria la tempesta, cosa pensi di fare?"
Adesso, anche gli elementi si mettono. A dire la loro, a chiedermi una presenza, delle risposte.
Stamattina era molto presto, quando ho lasciato i primi segni di vita fra gli alberi del parco. Lo zampettare di un uccello nero, un cane sciolto che fiuta scie di vento.
Mi fermo, gli stivali bagnati.
Io sono. Mi dico.
Io sono nonostante.
Io sono anche qui.
lunedì 11 febbraio 2013
Chimica
A volte scivolo via
Silenziosamente
Lentamente perdo me stesso
Ripetutamente
Trovo conforto nella mia pelle
Senza fine
Mi arrendo al mio desiderio
Per sempre
Qui da noi non prende mai. Lo dicono anche al bar. Butta in pioggia.
E tu ti chiedi cos'è il cambiamento di stato. Un fiocco perfetto e geometrico che si fa acqua.
Banalmente "accadueo". Finita la poesia di ricami e danze.
Vorresti che fosse così anche per te, con la semplicità delle pulsioni primordiali: mitosi, meiosi, ossidazioni, elementi che mutano e si trasformano incontrandone altri. Il tempo di schioccare le dita e quello che c'era, non c'è più. C'è qualcosa di nuovo. Ma che in un suo modo, conserva tracce.
domenica 10 febbraio 2013
Ancora neve
Domani nevica.
L'ultima volta (dalla finestra della scuola) era così.
L'ultima volta (dalla finestra della scuola) era così.
Il vantaggio è che domani non dovrò raggiungere la scuola, perchè siamo in vacanza.
Non attraverserò cauta il viale alberato e non litigherò con il freddo, visto che mi ostino ad indossare improbabili cappottini e stivaletti dalle suole in cuoio.
Non scruterò il cielo provando ad indovinare se il rientro a casa sarà praticabile.
Invece preparerò una dose eccessiva di tè, leggerò sul divano e farò finta di non sapere che dovrei fare molte altre cose da donna saggia.
Ma Schopenhauer mi insegna che un punto importante dell'umana
saggezza sta nella giusta proporzione in cui dedichiamo la nostra attenzione, parte al presente, parte
al futuro affinché l'uno non ci guasti l'altro.
Olè. Bingo.
L' Amore
Nacque così, senza dolore. Tutti a gridare al miracolo.
Ma una cosa così piccola, così minuta e sottile, attraversa la vita, le cose, l'anima della gente, senza fare rumore.
Né provocarlo.
La percorse tutta la madre, dai minuscoli piedi alle giovani piume, sul capo. La percorse tutta come si fa con l'orizzonte.
“Luce”, disse, “questo sarà il suo nome”.
E Luce crebbe. Non conosceva il pianto, la caparbia ostinazione dei bambini, il goffo incedere. Ogni cosa era misurata, ogni gesto sensato.
La madre, di salute cagionevole, ben presto si ammalò e visse i suoi ultimi giorni accarezzando trine nella penombra di lavanda.
Ma una cosa così piccola, così minuta e sottile, attraversa la vita, le cose, l'anima della gente, senza fare rumore.
Né provocarlo.
La percorse tutta la madre, dai minuscoli piedi alle giovani piume, sul capo. La percorse tutta come si fa con l'orizzonte.
“Luce”, disse, “questo sarà il suo nome”.
E Luce crebbe. Non conosceva il pianto, la caparbia ostinazione dei bambini, il goffo incedere. Ogni cosa era misurata, ogni gesto sensato.
La madre, di salute cagionevole, ben presto si ammalò e visse i suoi ultimi giorni accarezzando trine nella penombra di lavanda.
Luce osservava la madre leggere e leggeva. Voltava le pagine senza sgualcirle, le sfogliava lieve, in un fruscio di sete.
Osservava la madre sorbire il tè e lo sorbiva. Le labbra rotonde, a suggere ogni aroma, occhi chiusi per vedere con la lingua.
E la madre, donna saggia, seppe morire così come aveva saputo partorire. Luce, inginocchiata muta al cospetto di quel corpo, ne tastò riverente ogni centimetro. La fronte di gesso, le mani di velluto.
“Disperati figlia, disperati”, disse la balia scuotendola. E i capelli le si sciolsero, ricaddero sul viso, si posarono sulle spalle, si allargarono nell'aria, aura e corona.
Non una lacrima. Non un gemito. Non un sospiro.
E la casa cadde nel silenzio, un silenzio di spifferi e ombre.
Osservava la madre sorbire il tè e lo sorbiva. Le labbra rotonde, a suggere ogni aroma, occhi chiusi per vedere con la lingua.
E la madre, donna saggia, seppe morire così come aveva saputo partorire. Luce, inginocchiata muta al cospetto di quel corpo, ne tastò riverente ogni centimetro. La fronte di gesso, le mani di velluto.
“Disperati figlia, disperati”, disse la balia scuotendola. E i capelli le si sciolsero, ricaddero sul viso, si posarono sulle spalle, si allargarono nell'aria, aura e corona.
Non una lacrima. Non un gemito. Non un sospiro.
E la casa cadde nel silenzio, un silenzio di spifferi e ombre.
Bussò senza troppa convinzione. Tutto lì attorno parlava di morte, abbandono, addii. Ma lui era stanco.
Già si apprestava a riscendere la china, quando udì distintamente, il rugginoso scorrere di un chiavistello.
Chiedeva asilo.
E asilo fu.
La vecchia, prendendogli il mantello, facendogli strada, servendogli la zuppa, disse solo “non dovete muovervi, rimanete nella vostra stanza”.
E siccome lui non capiva, ripeté e ripeté.
Quella notte, dolenti le braccia, pesanti le palpebre, in bocca il sapore aspro della solitudine, chiamò a sé un sogno. Uno qualsiasi.
Il sogno giunse lieve, con profumo di mela cotogna e volto di donna. Si levò, per accoglierla, ma lei gli posò la mano leggera sul petto, un dito sulle labbra ad intimargli il silenzio.
Disteso l'attese.
Cadde la camicia bianca ai suoi piedi, e lei avvicinò la bocca umida e risoluta ai suoi occhi. Al suo ventre.
Fu solo quando danzava su di lui, la cortina dei lunghi capelli a coprire le sue mani avide sui seni bianchi, che poté udire la voce perfetta, gonfia e molle dire “amore...amore”.
Già si apprestava a riscendere la china, quando udì distintamente, il rugginoso scorrere di un chiavistello.
Chiedeva asilo.
E asilo fu.
La vecchia, prendendogli il mantello, facendogli strada, servendogli la zuppa, disse solo “non dovete muovervi, rimanete nella vostra stanza”.
E siccome lui non capiva, ripeté e ripeté.
Quella notte, dolenti le braccia, pesanti le palpebre, in bocca il sapore aspro della solitudine, chiamò a sé un sogno. Uno qualsiasi.
Il sogno giunse lieve, con profumo di mela cotogna e volto di donna. Si levò, per accoglierla, ma lei gli posò la mano leggera sul petto, un dito sulle labbra ad intimargli il silenzio.
Disteso l'attese.
Cadde la camicia bianca ai suoi piedi, e lei avvicinò la bocca umida e risoluta ai suoi occhi. Al suo ventre.
Fu solo quando danzava su di lui, la cortina dei lunghi capelli a coprire le sue mani avide sui seni bianchi, che poté udire la voce perfetta, gonfia e molle dire “amore...amore”.
venerdì 8 febbraio 2013
Io sono
Io sono.
Nella zolla di terra bagnata che odora.
Nel velo rappreso e dolce, sulla cioccolata fumante, che si sfredda.
Sono sul tetto lustro di pioggia, e nei residui di sabbia in fondo al secchiello rosso.
E in quel tuo passo morbido, senza affanni, che apre spazi.
Lì amo stare. Con dolore e pienezza.
Ma io sono. In ogni modo, e nonostante.
giovedì 7 febbraio 2013
Sole
Oggi pomeriggio a scuola abbiamo aperto la finestra. Per la prima
volta dopo mesi. Faceva freddo, ma il sole era tenace, spingeva,
incalzava.
Sole bello, benvenuto, toccami, ti aspettavo.
Sì, lo so.
Il gelo è vita, il freddo pure.
Ogni cosa va assaporata.
Eppure il sole è uno sposo dolce e carezzevole. Mi fa sentire amata.
Il sole mi invita a ballare, e se non ballo, fa si che i miei piedi seguano comunque il ritmo della musica.
Ed è un attimo, ritrovarsi nella danza.
Il sole mi ama con tenerezza e rabbia.
Ecco perchè domenica, quando mi ha fatto trovare i primi crochi viola nel prato, ho capito cosa voleva da me.
Voleva mi dischiudessi, a lui.
Voleva dimenticassi per un attimo i danni, e lo guardassi, senza paura.
Eccomi sole bello. Sono pronta.
mercoledì 6 febbraio 2013
Piaceri
Sono stanca, è stata una giornata tosta. Molto tosta.
Assenze, presenze, voli e atterraggi, vuoti pneumatici.
Adesso, come se stessi per scartare un cremino Fiat, pregusto il momento in cui solleverò il piumone, con il libro in mano. La bocca fresca di menta e salvia, il profumo della crema al tè verde sulla pelle.
Calarmi piano, come in una piscina, nello spazio sospeso - e solo mio - di questa notte.
martedì 5 febbraio 2013
Presente
"Per lo meno", disse, "mi sarà di conforto sapere che lei è lì. E' meno inquietante immaginare di essere soli insieme".
"Soli insieme, una frase ben scelta", rispose Vijay senza guardarla.
"Forse", disse Pam, "potremo incontrarci ancora sul treno del ritorno, dopo il ritiro".
"A questo non dobbiamo pensare. Goenka ci insegnerà che è solo il presente il luogo che dobbiamo abitare. Ieri e domani non esistono. I ricordi passati, i desideri futuri, producono solo inquietudine. La vita verso l'equanimità sta nell'osservare il presente e nel permettergli di fluire indisturbato lungo il fiume della nostra consapevolezza".
Senza guardarsi indietro Vijay si mise la sacca a tracolla, aprì le porte dello scompartimento e se ne andò.
Bello "La cura Shopenhauer", che da mezzo regalo è diventato un regalo intero.
Ne leggo poche pagine ogni sera. Un rituale salvavita.
L'altro giorno il mio amico alchimista mi ha chiesto: "quale cosa da bambina ti dava veramente pace?"
"Leggere", ho risposto senza esitazioni.
"Vedi", ha detto lui, "ed è quella che hai conservato".
lunedì 4 febbraio 2013
Appuntita
Miriam a scuola prende la sua tazza.
La osserva, perplessa, prima di versarsi l'acqua.
Si rivolge alla compagna e dice, con un'alzata di spalle: "mi passa la voglia di usarla, ci ha bevuto dentro quella maestra appuntita".
In effetti, tempo fa, abbiamo ospitato un'insegnante, una possibile new entry, alla quale abbiamo offerto un tè. Chiedendo a Miriam se poteva gentilmente prestarle la tazza.
Allora io mi volto, e dico: "ma guarda che è stata lavata!"
E lei: "mi dà fastidio comunque".
"Perchè?", chiedo.
"Perchè quella maestra non mi piaceva. Tu però, puoi usarla quando vuoi".
sabato 2 febbraio 2013
Sogni
Che sogno incredibile.
Un albergo pieno di vetrate, affacciate su una valle.
Io cammino veloce lungo il corridoio, guardo fuori. E mi sembra di vedere una rondine.
Sì, proprio una rondine, ma è lontana, scura, piccina. Allora penso che non è ora di rondini, che ho visto male.
Mi avvicino alla finestra e stringo gli occhi per guardare meglio. C'è il sole.
Quel puntino lontano viene verso di me.
E si avvicina, e si avvicina.
Sorrido, perchè sembra puntare alla mia finestra.
A pochi metri da me si ferma, sospesa, tutta un frullo d'ali. Ci guardiamo, sembra tenere i suoi occhi piccoli e infiniti nei miei. Silenzio.
Si avvicina ancora.
Posa il petto al vetro, e spalancata, aperta, pare offrirsi a me. Vedo, distintamente, il piumaggio rosso sangue sotto la gola: piccole piume vermiglie e leggere, mosse dal vento.
venerdì 1 febbraio 2013
Meteo
E no, basta.
Prima Lara Ferri mi invoglia con fioriture di Candelora.
Poi stasera, rientrando, mi è parso di sentire gli uccellini.
Allora un leggero fremito alle narici, un fiutare tracce, scie, che mi illude, mi accarezza.
Penso che domani è sabato, che ho voglia di mare, di fare foto, mi scappa un sorriso.
Ma eccole, scientifiche e asettiche, le previsioni. Che non puoi neppure permetterti di sperare. Di immaginare.
Lasciatemi sognare.
Prima Lara Ferri mi invoglia con fioriture di Candelora.
Poi stasera, rientrando, mi è parso di sentire gli uccellini.
Allora un leggero fremito alle narici, un fiutare tracce, scie, che mi illude, mi accarezza.
Penso che domani è sabato, che ho voglia di mare, di fare foto, mi scappa un sorriso.
Ma eccole, scientifiche e asettiche, le previsioni. Che non puoi neppure permetterti di sperare. Di immaginare.
Lasciatemi sognare.
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