Ecco, questa citazione arriva da una storia così. Dovrebbe passare di mano in mano, di bocca in bocca, di recensione in recensione. Invece.
Ma qualcuno la coglierà. La farà copertina, pagine, odorosa carta. Ne sono certa.
Il
giorno che è morto Joe Strummer ho deciso di cominciare ad
invecchiare: mi sono voltato e ho guardato indietro, verso la rabbia
giovane che prima o poi si allontana, anche se la tiri come un
elastico, anche se cerchi di rinnovarla con un concerto o con una
vecchia fidanzata, niente. Ma niente niente...
Un cazzo di niente.
Quella rabbia che ti ha fatto crescere e ti ha spurgato di tutti i
liquidi malsani, prima o poi quella rabbia ti scivola sotto i piedi
come la bava di una lumaca e ti svegli un mattino che sembri ancora
giovane, ma hai lasciato per sempre il controllo completo al mondo
dei grandi.
Vorrei coltivare la rabbia. E' stata mia solo per poco, verso i quindici o sedici anni, ma silente. Ventiquattro mesi di ferocia senza voce, senza slanci. Ero solo contro, ostinatamente contro. Contro i voti che mi inchiodavano e gli scutini che mi mettevano oltre la riga: di qui i buoni e promossi, di là i cattivi e bocciati.
Un sorriso acido e amaro assieme, quando in mezzo agli studenti assiepati davanti alle bacheche lessi a caratteri rossi e cubitali NON AMMESSA. Era esattamente quello che volevo.
Ora, la rabbia sembra non appartenermi, ma forse va stanata. Magari è lì, sotto le unghie. Nell'incavo del braccio. Dietro il lobo dell'orecchio.
Credo che se riuscissi a trovarla, a darle l'esca giusta, a portarla allo scoperto, potrei accoglierla e darle più spazio. Potrei dirle che la metto comoda, assieme alla gioia, alla tristezza, alla paura.
Sarebbe ora, che ci incontrassimo.