mercoledì 30 maggio 2012
Domande
Ti ho chiesto un bacio e me l'hai dato.
Ti ho chiesto una carezza, l'ho avuta.
Ti ho chiesto se ti piaceva il mio abito blu pavone. Hai detto di sì, che ti piaceva molto.
Ti ho chiesto se era buono il mio sapore. Hai sorriso.
Mi hai chiesto se ti amavo.
Ma avevo finito le parole.
Darwin
Da un paio di settimane a scuola ospitiamo un'incubatrice.
Che non fa tutto da sola.
Bisogna cambiare l'acqua che via via evapora, per mantenere la giusta umidità. E controllare che tutto vada per il meglio.
Oggi la proprietaria del catafalco, una signora rustica e piuttosto scorbutica, è venuta a fare l'ecografia agli ovetti. Pare che i pulcini stiano crescendo bene.
I bimbi, pieni di domande e tenerezze, le chiedono se i pulcini saranno più maschietti o femminucce. Rimangono lì, le bocche aperte, in attesa della risposta.
"Ma no", esclama lei gioconda, "le femmine si eliminano!".
Io e la collega ci scambiamo uno sguardo sconcertato e proviamo vanamente a coprire la sua voce agreste, tossicchiando, mascherando l'affermazione e dandole un altro senso. Ma lei insiste, con una naturalezza darwiniana che ci lascia basite.
Vita di campagna. Selezione. Ascolta e trai insegnamenti.
martedì 29 maggio 2012
Sono scientifica. Ma bis.
La Scuola G. Deledda è sempre uguale a se stessa. Nessun restyling, nessun ritocco. Confortante.
Solo che quando i miei amatissimi stivaletti bordeaux da cow-girl la attraversavano tacchettando da est a ovest, si presentava con un po' di supponenza e pompa come "liceo scientifico-bis ad indirizzo sperimentale biologico-sanitario". Nientepopodimeno.
Che ci facevo lì, non lo so. Difatti l'ho apprezzata a lungo e più del dovuto.
Però ne ho incontrati di insegnati belli, di quelli che ti prendono, ti cambiano il corso dei pensieri, ti fanno afferrare una passione, un'idea. Che poi, a sedici anni, ti cuci addosso.
Il Fumich, con quei suoi occhi svelti e celesti, ad incantarci tutte di storie. A declamare. A giocare con la seduzione. A dirci che eravamo tutti diversi.
La Cupidi, algida e incapace di sorridere. Diritto, per me uno scoglio insuperabile. La ricodo bene, biondo cenere.
"Ti interrogo, esci".
"Non ho studiato prof, mi metta pure impreparato". Sbruffona.
"Non esiste 'impreparato' per me. Adesso esci e fai la tua misera figura davanti ai compagni. Prova a tirar fuori qualcosa, usa la testa, sei perfettamente in grado".
Presi un cinque, e lo recuperai con un otto.
Ci conosceva la Cupidi, uno ad uno. Osservava. Sapeva che Davide passave le sue mattine guardando Viviana. Che Luca era così solo, fragile. Ce lo confessò, quando ci incontrammo al funerale. Vent'anni erano pochi per morire, ma lei i suoi occhi tristi li aveva sempre visti.
Poi Gregori, che ci dava del "lei", ma era capace di posarci la sua grossa mano sulla testa, al momento giusto.
E Marco, detto anche prof. Coslovich, che ci insegnò la poesia delle parole. Il piacere di raccontarci. La gioia del condividere. Veniva con noi, quando uscivamo per una pizza, un gelato.
Come quella sera, memorabile.
La cameriera infastidita (eravamo troppi, doveva tenere a mente le ordinazioni), stava provando a richiamarci all'ordine. Marco, candido, le chiese che gusti di gelato c'erano.
"Tutti", disse lei scocciata.
"Ah, bene. Allora per me una pallina di giraffa".
Un mito.
Ritmo
In auto, leggera. Sento questo pezzo e ballo.
Ma ballo come si deve, shakerando bene la testa.
Mani che battono sul volante, spalle che oscillano.
lunedì 28 maggio 2012
Felicità a piccole dosi
Stasera sognavo Rue Lepic.
Avrei scelto un tavolino ben esposto, per guardare la gente a passeggio. Un buon libro a celare gli occhi.
All'arrivo del ragazzo di sala (ben pettinato, un grembiule a righe allacciato stretto dietro), avrei ordinato un Noyaux. Il profumo spesso delle mandorle, la gradazione che in breve scalda le spalle, le tempie.
Poggiarsi bene allo schienale, annusare la gente, sorridere di un cane giallo e sbilenco.
Tutto qui.
domenica 27 maggio 2012
Il tempo
Se mai farò un bilancio
di questo lungo viaggio
quello che spero
è di aver donato un po’ di me
di questo lungo viaggio
quello che spero
è di aver donato un po’ di me
La vecchia stazione
La piccola stazione non aspetta più treni.
Ma io, che sono a caccia di storie e di vecchi sospiri, provo ad entrare.
Vetro rotto. Mi infilo.
In ognuno di questi luoghi ho trovato tracce. Bottiglie, piatti, scarpe.
E ogni volta mi sono chiesta perchè. Perchè qualcuno si debba ridurre a vivere così, in mezzo alla sporcizia, ai rottami e ai topi.
Anche oggi. Uno spazio, un tempo utilizzato come sala d'aspetto, raccoglie la vita di qualcuno.
Il materasso, evidentemente recuperato in qualche discarica, è nero di muffa. Niente coperte, lenzuola.
Della biancheria appesa, alla meglio: il tentativo di regalarsi un po' di dignità.
Ma io, che sono a caccia di storie e di vecchi sospiri, provo ad entrare.
Vetro rotto. Mi infilo.
In ognuno di questi luoghi ho trovato tracce. Bottiglie, piatti, scarpe.
E ogni volta mi sono chiesta perchè. Perchè qualcuno si debba ridurre a vivere così, in mezzo alla sporcizia, ai rottami e ai topi.
Anche oggi. Uno spazio, un tempo utilizzato come sala d'aspetto, raccoglie la vita di qualcuno.
Il materasso, evidentemente recuperato in qualche discarica, è nero di muffa. Niente coperte, lenzuola.
Della biancheria appesa, alla meglio: il tentativo di regalarsi un po' di dignità.
Papà
Questa foto me l'ha scattata papà. E l'ha anche sviluppata. Lo faceva in casa, oscurando uno stanzino.
Il primo di giugno mio padre compie gli anni, ma io non so esattamente quanti. E non lo so perchè noi due non ci frequentiamo. Non ci vediamo, non ci parliamo, non ci sentiamo al telefono.
A volte, qualcuno mi chiede solo "perchè?", ma io non ho risposte. La verità è che non c'è un motivo.
Per anni ho pensato di non essere una figlia degna, giusta per lui, per le sue enormi attese e le sue strabilianti capacità. La ritenevo una buona ragione per non essere amata e voluta.
Ora so che non è così.
Penso solo che non sia in grado. Di amare, intendo.
Le poche volte che ci siamo incontrati è stato evidente, lampante: utilizziamo un linguaggio diverso; l'alfabeto del sentire, del comunicare, del rispecchiare l'altro, non è lo stesso.
Alieni l'uno all'altro. Stranieri nello sguardo dell'altro.
Allora mi tengo qualche ricordo bello.
Come quando mi svegliavo sentendo il profumo delle sue ciambelle col buco. Lui friggeva la pastella e le impiattava, una sopra l'altra. Ed erano bellissime, dorate e cosparse di zucchero.
O quando, di ritorno dai suoi viaggi, estraeva dal cappello magico tanti piccoli doni speciali. Un libretto per formiche, delle toffee nere e lustre, una matita azzurra, la piuma di un indiano.
In ogni caso, buon compleanno papà.
venerdì 25 maggio 2012
Quasi estate
Uscita serale a cavallo tra aperitivo e cena con due amiche. Amiche che sanno di me, con cui non serve mai spiegare, che annusano sempre il mio umore e colgono. Amiche, insomma.
Mai stata così bene. Nel senso dell'equilibrio, del godere di ogni cosa, persino del mio corpo in movimento.
E questo senza tener conto della compagnia, del cibo, della birretta fresca, della mia bella maglia nuova, delle chiacchiere, dei profumi dolci nell'aria. No.
Veniva da dentro. Come se qualcuno mi avesse ritarata, rimessa assieme.
In psicomotricità si usano parole ostiche, oscure: unione del sè, involucro integro, coscienza del corpo. Invece è semplice. Stare bene nella tua pelle. Accarezzare desideri. Sentire che i tuoi gesti ti appartengono.
Bella sera di quasi estate.
giovedì 24 maggio 2012
Autenticità
L'anno scorso, durante un meeting, ho conosciuto un formatore. Giovane, parlantina sciolta, bello stile accattivante. Anche il suo modo di raccontare l'infanzia era pressochè perfetto.
Ciliegina sulla torta, chiacchierava e discuteva amabilmente con i presenti tenendo il suo bimbetto al collo, dimostrando notevoli capacità in merito alla gestione di questioni filiali (cambio del pannolino, ciuccio, addormentamento). Ammirevole.
Ma più lo guardavo e lo sentivo parlare, più sentivo qualcosa stridere. Non so dire con precisione cosa stridesse, ma dopo dieci minuti, ho iniziato ad evitarlo come la peste.
A tavola ha tenuto banco, allegro e ben disposto. Forse troppo allegro e ben disposto.
Ecco, ieri ho saputo che il suddetto è stato radiato, millanta titoli che non possiede, traffica con denaro anticipato di corsi mai attivati. Approfittando di povere insegnanti squattrinate.
Mi vien da dire "Lo sapevo". Ma è antipatico.
Però mi capita, sempre più spesso, di sentire grattare, stonare. Cos'è? Cosa rende poco genuino un dialogo, poco autentico un gesto?
E' possibile, mi chiedo, che trapeli l'infedeltà? L'infedeltà verso sè stessi?
...io mi chiedo quale sia la qualità che, persino di
fronte a un nemico mortale, ci fa sentire in presenza di “un uomo”,
mentre in assenza della quale, anche di fronte a un amico o a un
alleato, ci sentiamo in presenza di uno spirito servile.
(Vito Mancuso, La vita autentica).
mercoledì 23 maggio 2012
Grazie
Tornavo a casa stasera, un po' nervosa.
Soffro di una sindrome tristemente diffusa: in auto perdo ogni remora e controllo.
Da un bel pezzo seguivo un automobilista che disconosceva l'utilizzo delle frecce direzionali, viaggiava a cavallo della mezzeria e frenava così, a spot, un po' a casaccio.
Stavo dando i numeri. E il mio clacson non funziona.
Ma ecco che questo esemplare di automobilista rintronato, decide di non fermarsi al pedonale, dove due suorine attendono di attraversare la strada. Via, dritto.
Io freno appena in tempo.
Ed ecco che le due religiose, entrambe piccole piccole, magrissime, bianche e anziane, si voltano verso di me piene di sorrisi grati. La più consistente delle due, unisce davanti al viso le mani e china la testa, come in un orientale "Namastè".
Due volti così belli, così segnati e pieni di luce. A ringraziare, come fossero di passaggio, come se nulla fosse loro dovuto.
Passata la rabbia, riempito il cuore.
Riposo
L'altra sera un'amica mi dice: "sei fortunata tu, che fai l'insegnante...alle due sei a casa, vacanze di Natale, vacanze estive...".
Allora. Premesso che lavoro a progetto, quindi d'estate non percepisco stipendio, sono conscia che il mio sia un lavoro incredibilmente bello. Un lavoro che è vita, colore, progettualità.
Però totalizza, prende, assorbe.
Oggi mi accorgo con stupore di commuovermi mentre dico ad una mamma che la giornata del suo bimbo è stata particolarmente difficile. Ma perchè? Mi guarda perplessa, le dico che ho un po' di allergia al polline.
Qualche giorno fa, incontro l'insegnante che esaminerà i miei alunni alla fine dell'anno. Ore a progettare, valutare, preparare le prove d'esame. Riflettere sul percorso di ogni bambino, ritarare, cambiare rotta se è necessario. Leggo nei suoi occhi la stessa fatica. Piena, consapevole, ricca. Ma fatica.
Ieri, con le colleghe, sedute davanti alla scrivania di una psicologa. Un pomeriggio a sondare gli abissi: incontriamo bimbi che non si fanno cogliere, che chiudono porte e finestre, che non raggiungi così facilmente come vorresti. Allora chiedi aiuto, serve qualcuno che guardi da fuori.
Ascolti, impari, capisci quanto poco sei e puoi fare, ma torni in classe ancora con la voglia di provare.
Poche ore fa abbiamo accompagnato alcune corsiste e tirocinanti in visita alla nostra Scuoletta. La guardi con altri occhi mentre provi a spiegare, la trovi bellissima. Ma non hai voglia di parlare. Invece lo fai. Capisci che sono entusiaste, incredule. E parli ancora.
Tra un paio di settimane passerò la notte a scuola con i miei alunni: sacchi a pelo, storie a lume di candela, dormire zero. Sono contenta di farlo. Ma poi ci saranno gli esami. E la festa di fine anno. E quella recita buffa che stanno tentando di inscenare. E il filmato da montare e da mostrare ai genitori, che ogni anno si commuovono.
Dai. E' già il 23 maggio.
martedì 22 maggio 2012
Teatro, vita, meraviglia
La colpa è sempre del diavolo, Dario Fo. Monologo finale.
Fine della rivolusion!
Me despiase, digo la verità... Me despiase, poveri ribeli.
Vàrdali là, che i par tanti sachi sbusai pien de sangue!
Me despiase perché, a pensarghe ben, i gera nel giusto.
L'intension la gera bona, onesta, i g'avea reson. I g'avea reson!
Soltanto che i gera in pochi, i gera tropi pochi!
I gera in pochi perché i altri i dorme sempre! (indica il pubblico in platea)
Sempre i dorme!
No sti a far frecaso, benedeti, che dopo i se desvegia davero e i xe guai per noi altri.
Lasii dormir; e dormi anca voialtri: beati, tranquili e insognive dei duchi, che i vince sempre...
Fine della rivolusion!
Me despiase, digo la verità... Me despiase, poveri ribeli.
Vàrdali là, che i par tanti sachi sbusai pien de sangue!
Me despiase perché, a pensarghe ben, i gera nel giusto.
L'intension la gera bona, onesta, i g'avea reson. I g'avea reson!
Soltanto che i gera in pochi, i gera tropi pochi!
I gera in pochi perché i altri i dorme sempre! (indica il pubblico in platea)
Sempre i dorme!
No sti a far frecaso, benedeti, che dopo i se desvegia davero e i xe guai per noi altri.
Lasii dormir; e dormi anca voialtri: beati, tranquili e insognive dei duchi, che i vince sempre...
Liberi di fare
"Maestra, oggi è il mio compleanno".
"Auguri!". La strapazzo un po', la spettino. Ho un debole per questa bambina ironica e pulita, anche se non dovrei dirlo.
Ma in realtà, perchè non si dovrebbero sentire affinità elettive con i bambini? Sono o non sono persone?
"Che regalo potrei farti?", le chiedo.
Ci pensa, guarda i compagni. Poi alza gli occhi su di me.
"Per un giorno, vorrei fare quello che mi va".
"Bene, accordato", rispondo, e mi metto al lavoro.
La vedo aggirarsi fra i tavoli, osservare gli altri bimbi. Poi, l'illuminazione.
Prende il cartoncino, i pennarelli, si organizza. Si impegna come non mai, senza interrompersi, dimenticandosi della merenda. Sta muta, assorta, lei che è amata dai compagni per l'eloquio frizzante e copioso.
Due ore dopo arriva da me radiosa.
"Ho fatto una ricerca maestra".
"Benissimo!", dico, "e su che cosa?"
"Sulla manta".
"Sulla manta?"
"Ho preso il metro maestra...può essere lunga sei metri, come metà del nostro corridoio e come cinque bambini. E poi sai, fa dei loop".
"E cosa significa?", domando.
"L'ho chiesto alla maestra di inglese. Significa che fa dei giri, degli anelli quando nuota".
Morale: come imparare italiano, inglese e matematica, facendo quel cavolo che ci pare.
"Auguri!". La strapazzo un po', la spettino. Ho un debole per questa bambina ironica e pulita, anche se non dovrei dirlo.
Ma in realtà, perchè non si dovrebbero sentire affinità elettive con i bambini? Sono o non sono persone?
"Che regalo potrei farti?", le chiedo.
Ci pensa, guarda i compagni. Poi alza gli occhi su di me.
"Per un giorno, vorrei fare quello che mi va".
"Bene, accordato", rispondo, e mi metto al lavoro.
La vedo aggirarsi fra i tavoli, osservare gli altri bimbi. Poi, l'illuminazione.
Prende il cartoncino, i pennarelli, si organizza. Si impegna come non mai, senza interrompersi, dimenticandosi della merenda. Sta muta, assorta, lei che è amata dai compagni per l'eloquio frizzante e copioso.
Due ore dopo arriva da me radiosa.
"Ho fatto una ricerca maestra".
"Benissimo!", dico, "e su che cosa?"
"Sulla manta".
"Sulla manta?"
"Ho preso il metro maestra...può essere lunga sei metri, come metà del nostro corridoio e come cinque bambini. E poi sai, fa dei loop".
"E cosa significa?", domando.
"L'ho chiesto alla maestra di inglese. Significa che fa dei giri, degli anelli quando nuota".
Morale: come imparare italiano, inglese e matematica, facendo quel cavolo che ci pare.
domenica 20 maggio 2012
Attese
A
vent'anni non conosci attesa. Ed è giusto, perché ogni cosa è
crescita, mutamento. Il corpo accumula, la mente assorbe, nulla è
statico.
Questo
pensa Laura seduta al tavolino, mentre osserva il movimento
incessante ma dolce della gente intorno alla piazza. Vanno, vengono,
si radunano, si perdono.
Ha
posato il giornale sulle ginocchia, non le va di sapere cosa accade
fuori. Fuori da lei.
Piccole
gocce di condensa scendono dal bicchiere in rivoli piccoli, dalle
rotte anomale. Laura le accompagna con un dito, fin giù, in fondo.
Invece
adesso.
Non
c'è bisogno di fare, di chiedere, di bruciare il tempo. Sa
trattenere un pensiero, con gioia. Non si domanda dove lui sarà, né
per quanto tempo ancora dovrà aspettare.
Sceglie
con cura i ricordi, come si fa davanti ad una scatola di cioccolatini
dagli involucri colorati. Sceglie, e lascia che ogni immagine chiami
un respiro, un moto del cuore. Poi assapora, mentre il palato
registra gli aromi, uno alla volta.
Una
pergola e un gatto rosso. Lui a dire piano: “ho voglia di
toccarti”. Lei, le gambe allungate al sole, a sorridere
prendendogli una mano. Un piatto di patate arrosto. Il profumo del
rosmarino.
sabato 19 maggio 2012
Le fornaci
Invece, a pochi chilometri da casa c'è questa pancia enorme, questo luogo che pare una voragine scura.
Qui si facevano i mattoni. Ce ne sono ancora, a cumuli, negli spazi esterni.
Appena oltrepassato il cancello (chiusissimo, ma nulla è impossibile...), si incontrano gli uffici.
Tutto è aperto, si entra, si spalancano porte.
Pare che qualcosa
abbia spazzato via la vita, che solo un attimo prima colmava queste
stanze: sedie, scrivanie, raccoglitori, cassetti, computer.
Chi c'era
qui? Che storie raccontava? Cosa diceva al telefono?
Poi i magazzini. Vetri rotti, un armadio
divelto. Dentro un cassetto tante chiavi. Cosa aprono queste chiavi?
Chi le ha messe qui?
Ma lo spettacolo
vero inizia quando si varca la soglia dei forni. Ecco, un mondo che non
mi apparteneva ora si dischiude, e io ci sono. Dentro.
Poca luce filtra dall'alto, l'odore stantio e umido è pesante, fastidioso.
Una gabbietta pende dall'alto, attraversata da un raggio di sole.
Acqua stantia e verde per terra, e più indietro, il corridoio lungo e scuro delle celle-forno. Mette i brividi.
Non so cosa mi affascini di questo
nulla, questo nulla così pieno, questa morte così viva. Eppure mi
calamita, mi chiama, sento di entrare in contatto con qualcosa di dolce e
profondo che mi porto dentro.
L'eco dei miei passi, il rumore di una goccia che cade. Il traffico è lontano, qui ci sono solo respiro e luce.
venerdì 18 maggio 2012
Ora di pranzo
Durante il pranzo, i bimbi chiacchierano. Raccolgo le loro piccole storie, mi diverto, ma non lo do a vedere.
Una biondina racconta che passerà qualche giorno da sola con il padre. E' preoccupata, dice che il papà quando non c'è la mamma "fa tanti pasticci". I compagni chiedono, parlano dei loro genitori.
"E' che i papà lavorano più delle mamme", dice Filippo "per quello sono più incasinati".
Una delle bimbe più piccole, 4 anni, dissente."No, non è vero! Le mamme lavorano tantissimo!"
E mentre il tema li scalda e li invita ad esporsi con un'idea, un'opinione, Miriam, accanto a me, chiede a Marco: "come si chiamava il cavallo di Tex?". "Dinamite", risponde lui masticando un pezzo di pane. E lei, pensosa: "che nome impegnativo...".
Splendidi, irrinunciabili.
giovedì 17 maggio 2012
La schiena
A Davide erano sempre piaciute un po' in carne. In carne, non grasse.
Cecilia. Aveva un sorriso largo, bello, che a volte nascondeva con la mano. Forse per quello spazio tra gli incisivi che lui trovava così tremendamente sensuale. E poi le spalle, rotonde.
Laura invece gli era piaciuta per quel vezzo di accarezzarsi, mentre parlava. Si toccava la bocca, le braccia tornite, le belle cosce forti. E lo faceva così, come un bambino si gira una ciocca di capelli sul dito. Pulita, assorta.
Poi quel giorno, mente usciva dalla banca e sistemava alcune fatture nella cartellina gialla, rimase come stordito. La vide da dietro, una donna al tavolino del bar.
Stava seduta sulla gamba ripiegata, protesa in avanti, i gomiti sul tavolo. La camicetta nera si sollevava lasciando appena scoperti i fianchi abbronzati, la schiena.
Si avvicinò, incantato.
L'incavo della colonna vertebrale era un solco deciso, che spariva sotto l'orlo della camicia, ma Davide lo immaginò serpeggiare fino al collo, alla nuca.
Allora lei si voltò, allungando il braccio per scacciare un piccione.
Cecilia. Aveva un sorriso largo, bello, che a volte nascondeva con la mano. Forse per quello spazio tra gli incisivi che lui trovava così tremendamente sensuale. E poi le spalle, rotonde.
Laura invece gli era piaciuta per quel vezzo di accarezzarsi, mentre parlava. Si toccava la bocca, le braccia tornite, le belle cosce forti. E lo faceva così, come un bambino si gira una ciocca di capelli sul dito. Pulita, assorta.
Poi quel giorno, mente usciva dalla banca e sistemava alcune fatture nella cartellina gialla, rimase come stordito. La vide da dietro, una donna al tavolino del bar.
Stava seduta sulla gamba ripiegata, protesa in avanti, i gomiti sul tavolo. La camicetta nera si sollevava lasciando appena scoperti i fianchi abbronzati, la schiena.
Si avvicinò, incantato.
L'incavo della colonna vertebrale era un solco deciso, che spariva sotto l'orlo della camicia, ma Davide lo immaginò serpeggiare fino al collo, alla nuca.
Allora lei si voltò, allungando il braccio per scacciare un piccione.
mercoledì 16 maggio 2012
M'abituerò
Alla fine non è mai la fine
Ma qualche fine dura un po' di più
Da qui in poi si può solo andare
ognuno come può portando nel bagaglio quel che c'era
martedì 15 maggio 2012
Zucchine e rose
Ispirata da quella "donnadellaportaccanto" che è la Benedetta nazionale, stasera ho rivisitato una ricetta classica: le zucchine pastellate.
Dadini di pecorino poco stagionato, freschissime zucchine a listarelle sottili e pastella semplice.
Ho preso in frigo una bottiglia di Prosecco, l'ho stappata, e mentre le frittelle si doravano ho visto, sorseggiando il vino in terrazza, che il piccolo rosaio è carico di fiori bianchi, dai petali fitti e densi. Una dolcezza.
Dadini di pecorino poco stagionato, freschissime zucchine a listarelle sottili e pastella semplice.
Ho preso in frigo una bottiglia di Prosecco, l'ho stappata, e mentre le frittelle si doravano ho visto, sorseggiando il vino in terrazza, che il piccolo rosaio è carico di fiori bianchi, dai petali fitti e densi. Una dolcezza.
Vicini e lontani
Qual è la "giusta distanza"? Intendo come insegnante.
Con i bambini il poblema non si pone, non so mettere distanza. Loro sono pelle, braccia in movimento, cellule che si riproducono facendo rumore: non esiste spazio. Puoi solo approssimarti, sentirti calamitato.
Con i genitori la cosa si fa più complessa. Troppe attese reciproche, troppa vita vissuta. La storia mia incontra la tua, lo sguardo tuo vorrebbe sapere di me, prendere qualche pezzetto da analizzare, per capire. Per andare oltre.
E poi. Poi ci spartiamo il tempo da passare con questo bambino dagli occhi scuri e tristi o con questa bimba che sogna e canta. Non è facile da accettare.
Troppe volte ho regalato pezzi della mia storia per un desiderio di empatia. Troppe davvero. Al genitore che ti racconta del suo dolore tu offri il tuo, come a compensare, a dire "non sei solo". Ma consegni te, e non lo sai. E non sai come quella parte di te verrà conservata. Spesso male.
Altre volte attendi che si accorgano. Che notino le cose, le cose che fai. Vorresti stupore, magari un giorno all'anno. Vorresti ti dicessero che lo vedono, sì, tu stai lavorando bene, e le tue fatiche si trasformano in curiosità, interessi, allegrie, brevi scritti pieni di vita, ricordi densi.
Ma non lo fanno. Ti dicono che l'affetto per te, la stima, sono cosa scontata, ovvia. Salvo poi, se per caso scivoli un attimo, sussurrarti che da te, proprio da te, non se l'aspettavano.
Allora, qual è la strada? La strada che ti fa stare bene intendo.
E' quella in cui dai, ma con riserva.
E' orribile da dire. Anzi, qualche anno fa non l'avrei nemmeno pensato. Invece.
Dai, ma tuteli. Tuteli la tua vita, i tuoi desideri, le persone che ami. Le tieni al di fuori. Crei una vita che non si confonda con il lavoro, perchè a quella vita tu torni ogni giorno, proprio con il desiderio di riattingere. E proprio per questo non vuoi che i colori si mescolino.
Il rosso del lavoro, il giallo di tutto il resto. Due pennelli, due ciotole. Un dipinto niente male.
Post-it
Sul tavolo, accanto alla tovaglietta verde apparecchiata per la prima colazione, c'era un post-it.
Non lo vide subito, intenta com'era a tostare il pane, versare il succo d'arancia, affettare il limone per il tè. Fu quando raccolse il coltello che le sarebbe servito a spalmare la marmellata di pesche, che lo notò.
"Ciao, ti bacio. Su un dito".
Sorrise. E nello stesso tempo pensò che era una delle cose più erotiche che le avessero mai detto.
Le labbra di lui sulla punta del suo indice. Ecco, come tutto poteva racchiudersi in qualcosa di così piccolo.
Non lo vide subito, intenta com'era a tostare il pane, versare il succo d'arancia, affettare il limone per il tè. Fu quando raccolse il coltello che le sarebbe servito a spalmare la marmellata di pesche, che lo notò.
"Ciao, ti bacio. Su un dito".
Sorrise. E nello stesso tempo pensò che era una delle cose più erotiche che le avessero mai detto.
Le labbra di lui sulla punta del suo indice. Ecco, come tutto poteva racchiudersi in qualcosa di così piccolo.
domenica 13 maggio 2012
Magie di maggio
In questa giornata strana e settembrina, mentre, come davanti allo specchio ridevamo del nostro essere simili ma diverse, Giusy ed io abbiamo raccolto fiori di sambuco e d'acacia.
Edoardo e Sara, più avanti, con Frida ad inseguire tracce.
A casa ho pulito i fiori, li ho asciugati delicatamente.
Limoni biologici e zucchero per lo sciroppo di sambuco.
Una pastella semplice (uovo, acqua e birra) per friggere i dolcissimi fiori di acacia. Da mangiare rigorosamente caldi e spolverizzati di abbondante zucchero a velo.
Strano come a volte, la natura ti chieda di essere più paziente e più clemente con te stesso. Nel suo ciclico dare, ti invita a rispettare il tempo.
Ottime le frittelle, davvero.
Bora
Bora, bora fredda da vendere.
Oggi vorrei non volere nulla.
Invece, voglio.
Allora chiederò a questo vento di passarmi tra le dita, tra le ciglia e, se vuole, di infilarsi nel colletto, nei polsini, sotto l'orlo dei pantaloni.
Chissà se il suo tocco gelato, il suo incedere irrispettoso, invadente, potranno cambiare corso ai pensieri.
Mi infilo un giaccone ed esco.
Oggi vorrei non volere nulla.
Invece, voglio.
Allora chiederò a questo vento di passarmi tra le dita, tra le ciglia e, se vuole, di infilarsi nel colletto, nei polsini, sotto l'orlo dei pantaloni.
Chissà se il suo tocco gelato, il suo incedere irrispettoso, invadente, potranno cambiare corso ai pensieri.
Mi infilo un giaccone ed esco.
Ancora incipit
Era
quel modo di tenere le spalle, erette anche quando sedeva mollemente,
che le piaceva. Come se ci fosse sempre una parte di lui vigile,
pronta. Come se il busto imponesse anche ai pensieri una sorta di
attività incessante.
A
volte, mentre leggeva o stava al sole, se ne usciva con qualcosa di
anomalo e sbilenco, la coda di un pensiero, il rimasuglio sfatto di
un'idea. Alzava gli occhi, la guardava.
“Ma
quando la portinaia ha il giorno di riposo, dici che resti comunque
lì seduta al buio, con le persiane calate?”
Claudia rideva, rastrellando le foglie o potando le rose, e non rispondeva.
Sembrava
assorto, vago, incapace di concretezze. Invece poteva sorprenderla
con un sugo dagli accostamenti improbabili, che spadellava con le
penne al dente. Così, senza fatica, un canovaccio posato sulla
spalla.
Lei
entrava, Paolo le metteva in mano un bicchiere di vino, poi correva
ad aggiustare di sale.
E
anche nel toccarla, lui era corpo, istinto. La sua vacuità spazzata
via da gesti precisi, a volte duri, guidati da un sapere antico.
Stentava a riconoscerlo quando le teneva gli occhi e la colmava.
sabato 12 maggio 2012
Al mulino
Comperare la farina al mulino, è di per sè una grande emozione.
Così oggi, ventotto gradi e una gran voglia di vedere colori, sono andata dove scorre quella roggia chiara, gentile.
Entri al mulino e sei altrove. Un cane accucciato fra i sacchi, Il Sacro Cuore raffigurato qua e là, Frate Indovino a dirti se è già tempo di semina. I proprietari impolverati, da sempre.
Chiedo del vecchio battifferro, a fianco. E' morto qualche anno fa, ultranovantenne. E quel luogo così pieno di storie e Storia rimane lì, con tutte le belle finestre, i balconi, gli attrezzi ancora disseminati nel prato.
Mi dicono che forse, i figli venderanno tutto, ne faranno appartamenti.
"E un museo", suggerisco "non sarebbe bellissimo?"
La signora scuote la testa. Dice che non si può fare niente "nelle cose vecchie", perchè tirano fuori la sicurezza, l'igiene, e si perde il bello. Mi mostra il pavimento in pietra, lustro per il tanto andirivieni..
"Pensi", mi racconta, "i Nas volevano che piastrellassi tutto. Ho detto che piuttosto vendo il mulino. Pretenderebbero che confezionassi già i sacchetti, che avessi la roba sigillata, ma se qualcuno mi chiede solo trecento grammi di farina, perchè non devo darglieli?".
Saluto, carica di involucri morbidi e racconti.
Poco più in là, prima di svoltare sulla strada principale, c'è un vecchio cancello socchiuso.
Mi affaccio, curiosa.
Un giovane uomo sta lavorando: ripulisce e sgombra un cortile interno, su cui si affacciano un'officina, ormai chiusa, una pocilaia, una casa.
Chiedo di poter fare qualche foto, mi accompagna gentilmente. Racconta che hanno acquistato questa proprietà con l'idea di trasformarla, di ristrutturare, ma c'è crisi.
La casa è bella, piena di poesia, ci sento voci, rumori. Domando se dovranno demolire tutto. Dice che il piano superiore è in pessime condizioni, che se riusciranno ad iniziare i lavori cercheranno di rispettare il progetto iniziale, ma di questo ovviamente resterà ben poco.
Ecco, penso quando salgo in macchina, so cosa voglio fare "da grande". Dare voce, in qualche modo, a questi luoghi che suonano ancora vecchie canzoni.
giovedì 10 maggio 2012
Dove ho visto te
Il video taglia a metà il testo...ma è una versione così bella, così intima di Lorenzo, che mi piaceva comunque condividerlo. Vale però la pena di ascoltarsela tutta intera. Poesia.
E c'è una parte della mia città
Che assomiglia a te
Quella dei bar con fuori i tavolini
E del silenzio di certi giardini
E c'è una parte della luna
Che assomiglia a te
Quella dove si specchia il sole
Che ispira musica e parole
Baciami baciami baciami
Mangiami mangiami mangiami
Lasciami lasciami lasciami
Prendimi prendimi prendimi
Scusami scusami scusami
Usami usami usami
Credimi
Salvami
Sentimi
E c'è una parte della mia città
Che assomiglia a te
Quella dei bar con fuori i tavolini
E del silenzio di certi giardini
E c'è una parte della luna
Che assomiglia a te
Quella dove si specchia il sole
Che ispira musica e parole
Baciami baciami baciami
Mangiami mangiami mangiami
Lasciami lasciami lasciami
Prendimi prendimi prendimi
Scusami scusami scusami
Usami usami usami
Credimi
Salvami
Sentimi
mercoledì 9 maggio 2012
Case in costruzione
L'operaio rumeno ("Edil Giorgiu", campeggiava sul furgone) si era girato di scatto, come punto da un insetto. L'aveva fissata, muto.
"Buongiorno", aveva detto lei, con la voce un po' rotta per la ragguardevole distanza, "posso chiederle un'informazione?". Muto.
Lei si fece coraggio, proseguì.
"Queste case", e dicendolo fece un gesto ampio, con la mano, "quando saranno completate? Manca molto?"
Lui si voltò a guardare le villette in costruzione, come fosse la prima volta. O magari chiedendosi come poteva non essere evidente che quelle case erano ormai finite.
"Manca tetto". E senza cambiare espressione la scrutò, interrogativo.
"La ringrazio, gentilissimo. Quindi, un mesetto o due?"
"Un mese. No più".
"Grazie ancora. Buonasera!".
Giorgiu padre (perchè Giorgiu erano anche i figli, Brad e Lorian) osservò la donna salire sull'utilitaria rossa, fare ancora un segno di saluto - che non ricambiò -, avviarsi e girare dopo il capannone.
Anche lei, sotto un cielo che non prometteva altro che fastidi, vide nello specchietto la sagoma ferma dell'uomo perdere i contorni. E sparire.
Accese la radio, alzò il riscaldamento.
La notizia era buona. Erano quasi finite.
Le aveva viste nascere quelle case, dalla fondamenta grigie. Ogni giorno un pezzetto, ogni giorno appena più alte. Più vere.
Passava di lì, ogni mattina per andare al lavoro e ogni pomeriggio, rientrando.
E mentre le case crescevano, inconsapevoli del suo tenerle amorevolmente d'occhio, nel cuore di Anna fioriva un pensiero. Un pensiero che aveva mani scure e veloci. Occhi intelligenti. E parole che sapevano scovare gioie, desideri, in ogni suo angolo.
Ecco, il pensiero di lui era cresciuto con quelle case, ogni giorno, pezzo dopo pezzo.
E adesso, adesso che lui non c'era più, le era insopportabile l'idea che quelle case parlassero ancora di progetti, di futuro, di scelte. Di infissi, piastrelle, tegole.
Sospirò, pacificata.
"Finite", disse ad alta voce "sono quasi finite anche loro".
martedì 8 maggio 2012
La fossa del giugulo
Non le succede più al risveglio. E neanche quando spegne la luce sul comodino.
Prima le capitava spazzolando i capelli, ingranando la seconda, addentando un biscotto. Ora no.
Perché ha levigato, come si fa con un ciocco di abete appena tagliato, che ancora profuma di bosco. Lo si ripulisce, ben bene. Dapprima si toglie la corteccia, poi si seziona, si ricavano assi.
Ma le assi, parlano ancora dell'albero che sono state. Le venature, il midollo dolce, le piccole asperità, i nodi. Nell'asse c'è ancora l'albero.
Allora tocca lisciare, fino a consumarsi le mani. A volte fa notte a furia di lisciare, e nel silenzio (una sirena lontana, il miagolio di un gatto) lo spazzino può sentire, dal fondo della strada, il regolare e ritmato scivolare della pialla.
Ecco perché adesso, quando beve il suo tè affacciata alla finestra e guarda il giardino attraverso le piccole volute di fumo, non pensa ad altro che al sapore del bergamotto e al calore che scende, dalla lingua alla gola.
Non lascia che si crei lo spazio. Si ferma a ciò che sente, annusa, tocca. Come a chi non è concesso di vedere.
Ma l'altro giorno, per puro caso, mentre correva sotto la pioggia, l'ha ritrovato. Ha capito dove si annida.
Si era fermata ansante, per una fitta improvvisa alla base del collo. Aveva appoggiato la mano per proteggere, lenire, portar via quel dolore acuto e insistente. E aveva tastato la piccola fossa, quella dolce, molle e vulnerabile cavità, che palpitava lieve, come a respirare, come a lievitare.
Prima le capitava spazzolando i capelli, ingranando la seconda, addentando un biscotto. Ora no.
Perché ha levigato, come si fa con un ciocco di abete appena tagliato, che ancora profuma di bosco. Lo si ripulisce, ben bene. Dapprima si toglie la corteccia, poi si seziona, si ricavano assi.
Ma le assi, parlano ancora dell'albero che sono state. Le venature, il midollo dolce, le piccole asperità, i nodi. Nell'asse c'è ancora l'albero.
Allora tocca lisciare, fino a consumarsi le mani. A volte fa notte a furia di lisciare, e nel silenzio (una sirena lontana, il miagolio di un gatto) lo spazzino può sentire, dal fondo della strada, il regolare e ritmato scivolare della pialla.
Ecco perché adesso, quando beve il suo tè affacciata alla finestra e guarda il giardino attraverso le piccole volute di fumo, non pensa ad altro che al sapore del bergamotto e al calore che scende, dalla lingua alla gola.
Non lascia che si crei lo spazio. Si ferma a ciò che sente, annusa, tocca. Come a chi non è concesso di vedere.
Ma l'altro giorno, per puro caso, mentre correva sotto la pioggia, l'ha ritrovato. Ha capito dove si annida.
Si era fermata ansante, per una fitta improvvisa alla base del collo. Aveva appoggiato la mano per proteggere, lenire, portar via quel dolore acuto e insistente. E aveva tastato la piccola fossa, quella dolce, molle e vulnerabile cavità, che palpitava lieve, come a respirare, come a lievitare.
Aveva sorriso, con la mano ferma a trattenere. Allora esiste, si era detta, esiste ancora.
Adesso sa. Che quando è stanca di spegnere, chiudere, smorzare, nascondere, tacitare, può trovarlo.
E' vivo, basta toccare, è lì.
domenica 6 maggio 2012
Ultimi
«Crediamo nella chiesa povera, umile, sobria, essenziale, libera da ogni
avidità riguardo al possesso dei beni. La
Chiesa quindi paghi doverosamente le tasse riguardo a quei beni che non
sono in modo chiaro ed evidente finalizzati alla solidarietà, alla
promozione sociale, al bene comune».
L'unica omelia che sostengo, da qualche anno a questa parte, è quella aspra e feroce di un sacerdote di frontiera. E questo sacerdote sta facendo la storia, insieme ad altri, pochi, "ultimi con gli ultimi".
Sono una parte importante della storia del cattolicesimo nel nord est
italiano. Sono i dieci preti autori di una lettera pro
eutanasia che da molte parti è descritta come “il documento cristiano
più significativo sul caso Englaro”: sono favorevoli a una legge che disciplini il testamento
biologico. Ma anche perplessi sull’atteggiamento di coloro che
definiscono “omicidio” la scelta “drammatica vissuta nell’ambito di una
relazione d’amore”.
Questi sacerdoti si rifanno alle “comunità di base” e all’esperienza dei
“preti operai” iniziata in Francia nel 1943, quando venne denunciata la frattura fra la chiesa e le masse
popolari nelle periferie.
E il don, che tutti chiamano solo Franco, porta sulle spalle una comunità difficile e viva, dove coesistono genti, lingue, solitudini. Un uomo, tormentato e complesso, prima ancora che un sacerdote.
Mi piacerebbe dirgli "grazie".
sabato 5 maggio 2012
Bruttini e silenziosi
"Giuggio" è quell'uomo (perchè tipicamente di uomo si tratta) che non fa mai scattare la scintilla. Non prende, non cattura. Calma piatta.
Mi spiego meglio.
Ieri sera, alla presentazione di un libro, un'amica mi segnala un tipo che - ad un primo sguardo - potrebbe piacerle. Questi, un belloccio conscio di esserlo, brizzolato e finto trasandato, si aggira per la sala sempre attento al ciuffo, elargendo ammiccamenti.
Fa un'onesta figura, finchè non apre bocca.
Quando prende la parola, modula una vocina sottile che rivela una "esse blesa" (comunemente detta "zeppola"), si compiace grandemente di ciò che dice e sorride troppo. Davvero troppo.
L'amica si volta di colpo, mi guarda, fa "no" con la testa. Depennato.
Ecco. Quando uno è "giuggio", e della sua "giuggiaggine" fa una bandiera, può essere bello, anche bellissimo, ma viene depennato.
Silvio Orlando, bruttino e silenzioso, lo sorpassa alla grande. Con una pernacchia.
Volo
Glielo racconta così, lieve, come parlasse della pioggia che lo ha sorpreso a quel concerto o di un nuovo locale aperto da poco, dove fanno un ottimo Mojito.
Sì insomma, che l'ha sempre amata.
Linda non fa in tempo a portarsi la ciocca scura dei capelli dietro l'orecchio - sfugge a ogni controllo e mai sta al suo posto - che ogni parola si posa. Una sulla spalla, un'altra, più ardita, nell'incavo dell'osso scapolare. La terza, senza ritegno, sfiora una tempia.
Dell'ultima Linda segue con gli occhi i lenti volteggi, il suo alato planare. Allunga una mano e la prende, chiudendo piano le dita, come si fa raccogliendo uno scarabeo lucente, un uccello implume.
Non le resta che arrendersi all'evidenza di quel sempre, dal suono pieno, come una tazza di porcellana appoggiata troppo in fretta sul piattino.
E lasciar cadere quella ciocca, che mai sta al suo posto.
Sì insomma, che l'ha sempre amata.
Linda non fa in tempo a portarsi la ciocca scura dei capelli dietro l'orecchio - sfugge a ogni controllo e mai sta al suo posto - che ogni parola si posa. Una sulla spalla, un'altra, più ardita, nell'incavo dell'osso scapolare. La terza, senza ritegno, sfiora una tempia.
Dell'ultima Linda segue con gli occhi i lenti volteggi, il suo alato planare. Allunga una mano e la prende, chiudendo piano le dita, come si fa raccogliendo uno scarabeo lucente, un uccello implume.
Non le resta che arrendersi all'evidenza di quel sempre, dal suono pieno, come una tazza di porcellana appoggiata troppo in fretta sul piattino.
E lasciar cadere quella ciocca, che mai sta al suo posto.
giovedì 3 maggio 2012
Aggettivi
Con i bambini di seconda lavoro sugli aggettivi qualificativi.
Leggo le frasi di M.
Il cane nero.
Il gatto bianco.
La rosa rossa.
"Bene. Ma come può essere ancora un cane?", chiedo.
"Può essere anche marrone", risponde dopo aver pensato un po'. Rimane sui colori.
"Ok. E poi, come descriveresti un cane?"
"Ah sì, può anche essere bianco!"
"Allora, facciamo così, guarda me e prova a dire come sono".
"Rosa".
"Bene. E poi?"
"Bella".
"Perfetto. Dai, ancora qualcosa..."
"Gentile".
Allora metto su una faccia arcigna e orrenda, da strega cattiva.
"E adesso?", chiedo facendo la voce stridula e gracchiante.
Ride.
"Simpatica".
Morale: se offendi la maestra potresti imparare troppi aggettivi.
Leggo le frasi di M.
Il cane nero.
Il gatto bianco.
La rosa rossa.
"Bene. Ma come può essere ancora un cane?", chiedo.
"Può essere anche marrone", risponde dopo aver pensato un po'. Rimane sui colori.
"Ok. E poi, come descriveresti un cane?"
"Ah sì, può anche essere bianco!"
"Allora, facciamo così, guarda me e prova a dire come sono".
"Rosa".
"Bene. E poi?"
"Bella".
"Perfetto. Dai, ancora qualcosa..."
"Gentile".
Allora metto su una faccia arcigna e orrenda, da strega cattiva.
"E adesso?", chiedo facendo la voce stridula e gracchiante.
Ride.
"Simpatica".
Morale: se offendi la maestra potresti imparare troppi aggettivi.
mercoledì 2 maggio 2012
Goodbye Kiss
Forse il nostro tempo è finito, abbiamo vissuto in silenzio troppo a lungo
Apri gli occhi e che cosa vedi?
Niente più risate, niente più fotografie
Ti giri piano, ti guardi indietro, vedi
non ci sono parole che potrebbero salvarci
I Kasabian e Hugh Laurie insieme...meraviglia!!!
La sai quella del panda?
Passeggio con Edo che saltella alla mia destra, e parla. Ma parla, e parla. E saltella.
"Sai quella pubblicià del panda?"
"Sì..."
"Paolo sul suo diario ha quel panda lì...ma sai quale? Quello che fa la lotta con la renna. Ti ricordi?". Ride.
"Sì che mi ricordo, quello con la faccia buffa."
"Quello, sì! Si vede una vignetta in cui ha mangiato un limone, e..."
Mi rendo conto che ho staccato la spina. E che onestamente, in modo molto pulito e chiaro, ora vorrei essere sola. Vorrei non dover stare sulle richieste di altri.
"Sai quella pubblicià del panda?"
"Sì..."
"Paolo sul suo diario ha quel panda lì...ma sai quale? Quello che fa la lotta con la renna. Ti ricordi?". Ride.
"Sì che mi ricordo, quello con la faccia buffa."
"Quello, sì! Si vede una vignetta in cui ha mangiato un limone, e..."
Mi rendo conto che ho staccato la spina. E che onestamente, in modo molto pulito e chiaro, ora vorrei essere sola. Vorrei non dover stare sulle richieste di altri.
Vorrei annusare quest'aria che comincia ad essere spessa di odori, vorrei silenzio, vorrei percepire i miei piedi negli stivali, il buco in fondo alla tasca della giacca, la borsa che oscilla sulla spalla.
"...e poi, in quell'altra, dormiva sul ramo di un albero, poi cadeva..."
Gli sto a fianco, ma sono lontanissima da qui. La mia bocca sorride, i capelli mi ricadono sugli occhi mentre faccio sì, ho capito, ti ascolto. E non è vero.
Questo sentire, che solo pochi mesi fa avrebbe creato un cortocircuito bello e buono, mi fa stare bene. E' onesto. Vero.
"...e la prof allora gli ha preso il diario, perchè tutti ridevano..."
Onesto, ma anche giusto. Questa sono io, dolce Edo. Questa è una mamma viva, a cui piace farsi pettinare i capelli da te. A cui piace morderti, in quel posto dietro l'orecchio che chiamiamo "l' isola segreta".
A cui fa bene anche stare sola, senza prestare ascolto a voci, attese, aspettative.
Allora è deciso, sabato me ne vado proprio da sola. E non per lavoro, proprio per niente, per nessuna ragione che possa essere un alibi. Solo perchè mi sta bene così.
E sapessi quanto bene ti voglio ora, Edo.
"...e sai, la prof alla fine l'ha messo in punizione, povero Paolo!"
"Forse era solo molto stanca..."
"Sì. Lo ha anche detto."
Saltella, saltella, saltella.
"...e poi, in quell'altra, dormiva sul ramo di un albero, poi cadeva..."
Gli sto a fianco, ma sono lontanissima da qui. La mia bocca sorride, i capelli mi ricadono sugli occhi mentre faccio sì, ho capito, ti ascolto. E non è vero.
Questo sentire, che solo pochi mesi fa avrebbe creato un cortocircuito bello e buono, mi fa stare bene. E' onesto. Vero.
"...e la prof allora gli ha preso il diario, perchè tutti ridevano..."
Onesto, ma anche giusto. Questa sono io, dolce Edo. Questa è una mamma viva, a cui piace farsi pettinare i capelli da te. A cui piace morderti, in quel posto dietro l'orecchio che chiamiamo "l' isola segreta".
A cui fa bene anche stare sola, senza prestare ascolto a voci, attese, aspettative.
Allora è deciso, sabato me ne vado proprio da sola. E non per lavoro, proprio per niente, per nessuna ragione che possa essere un alibi. Solo perchè mi sta bene così.
E sapessi quanto bene ti voglio ora, Edo.
"...e sai, la prof alla fine l'ha messo in punizione, povero Paolo!"
"Forse era solo molto stanca..."
"Sì. Lo ha anche detto."
Saltella, saltella, saltella.
martedì 1 maggio 2012
Gioietta
“Mi
sono resa conto solo da poco che certe situazioni nella mia vita
adulta mi facevano stare così male e mi gettavano nel panico perché
mi facevano rivivere delle situazioni infantili dimenticate.
E,
riflettendoci, mi sono resa conto che in certe situazioni non ero io
che entravo in gioco, ma la bambina spaventata dentro di me che
cadeva nel panico. Perdevo il controllo della situazione perché
entravano in gioco tante altre cose della mia storia. Ero io, ma
contemporaneamente non ero più io.
Era
come se sul palcoscenico della mia vita, in quel momento, fossero
entrate altre persone che non c’entravano con quella scena. Erano
sì tutti personaggi della stessa commedia, ma che recitavano in
un’altra scena, precedente. Adesso mi succede ancora che questi
personaggi tornino prepotentemente sulla scena, ma riesco a
riconoscerli e a dar loro un peso diverso. Riesco a tenerli un po’
più sullo sfondo del palcoscenico, per evitare che le ombre del
passato rovinino il mio presente e il mio futuro”.
A. Marcoli
IL
BAMBINO PERDUTO E RITROVATO
Piedi
"No, non è vero. E' il cuore a dolere, sono le viscere, e gli occhi gonfi".
"Ti sembra. Quelli sono come bubboni, lì non nasce ciò che senti, solo si addensa. I piedi ti hanno portata, ti hanno sorretta quando stavi bene e anche ora, che stai male. Si sono inarcati quando provavi piacere, allungati quando curiosa ti alzavi sulle punte, portano tutto il peso adesso, anche il peso delle tue lacrime".
"E cosa dovrei fare?"
"Cammina. Posa il piede a terra, vai. Senti al primo passo tutta la pianta del piede che incontra il suolo. E poi un altro passo. E' semplice, tu li posi, uno dopo l'altro".
"Ma io non voglio camminare".
"Oh sì, lo so. Lo so. Ma accadrà anche se tu non vorrai. Un piede via l'altro, quando meno te lo aspetti".
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