Insomma. Odio quelli che raccontano le loro magagne. Ma, come fanno i miei bambini quando gareggiano su infortuni e sbucciature (e corollario di cerotti ora piccoli, ora enormi), stamattina mi va di condividere anche questo.
Ieri sera pensavo di starmene a casa. Invece poi. L'aria dolce, la camicetta leggera e Vedder rauco che canta Guaranteed, solo per me.
If ever there was someone to keep me at home
It would be you...
Mi faccio condurre e si parla, mentre passa dai finestrini un cielo che cambia e sospinge le sue prime comparse. Alzo gli occhi, cerco la luna e mi accorgo che una macchia nera occupa parte del mio campo visivo. Non dico nulla, provo a non spaventarmi, guardo a destra e a sinistra.
Cazzo. La macchia si allarga e si popola di piccole luminescenze. Una sorta di aurora boreale che riempie tutto. Non ci vedo quasi più.
Formicolio alle mani e ai piedi, le esortazionni a respirare in modo controllato, la corsa al Pronto Soccorso.
Mi fanno entrare subito, il medico di guardia è molto giovane e pare quasi spaventato.
Lo rassicuro come posso.
Secondo me è la retina, dice incerto.
Non credo, perchè ha colpito entrambi gli occhi, rispondo.
In effetti, dice lui, meglio se facciamo un piccolo esame neurologico.
Lucetta, riflessi, equilibrio, smorfie. Nel frattempo la vista è tornata. Ma l'adrenalina mi ha lasciata sfinita, a pezzi. Potrei addormentarmi sul lettino freddo e duro.
Ebbene, la diagnosi. Attacco emicranico con aura. Bomba di antidolorifico, e via.
Esco sulle mie gambe un po' pesta e traballante, in questa sera pedemontana. L'eco di una festa paesana ci porta un valzerone.
Un tè caldo sulle panchine dell'ospedale, un vago senso di ubriachezza e si ride, di questa serata molto, molto alternativa.