Al
bancone ordinammo un caffè.
Mia moglie come sempre, spiegò quel caffè: ristretto, poco latte, appena
tiepido, molta schiuma. Poi si sfregò le mani, ancora nei guanti,
guardandosi attorno.
Conoscevo
quei guanti e conoscevo il cappotto blu doppiopetto, che portava
allacciato stretto sul davanti.
Quel
vezzo di sfiorarsi con l'indice e il medio il labbro superiore,
nell'attesa, non mi sfuggì, ma fu catalogato insieme agli altri
gesti, conosciuti anch'essi.
La
porta del bar si aprì, e annunciando che si era alzato un vento
freddo entrò un uomo.
Lei
si voltò, rialzandosi il bavero, di certo infastidita, poi lo
sguardo le si accese appena, si soffermò, indugiò. Pochi attimi
ancora e si definì sul suo viso quell'espressione infantile e
stupita. Che non ricordavo.
Salutò
l'uomo forse troppo vagamente, un lieve rossore si diffuse dagli
zigomi alla fronte.
Repentina,
ma ancora distratta, si rivolse nuovamente a me. Sollecita.
“Zucchero?”
Allora
vidi per la prima volta i guanti rossi, che sfilò per sollevare il
cucchiaino, rivelare mani bianche e belle. E notai per la prima volta
il cappotto blu doppiopetto, che portava allacciato stretto sul
davanti, mostrare la figura snella.
E
quel gesto, quel raccogliere i capelli con entrambe le mani,
scoprendo il collo lungo e il piccolo neo sul lobo dell'orecchio, no,
non lo conoscevo.
Iniziato bene, mi sembra...
RispondiElimina:)
Grazie! E detto da un librarian... :)
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