lunedì 30 luglio 2012

Il caffè



Al bancone ordinammo un caffè.
Mia moglie come sempre, spiegò quel caffè: ristretto, poco latte, appena tiepido, molta schiuma. Poi si sfregò le mani, ancora nei guanti, guardandosi attorno.
Conoscevo quei guanti e conoscevo il cappotto blu doppiopetto, che portava allacciato stretto sul davanti.
Quel vezzo di sfiorarsi con l'indice e il medio il labbro superiore, nell'attesa, non mi sfuggì, ma fu catalogato insieme agli altri gesti, conosciuti anch'essi.
La porta del bar si aprì, e annunciando che si era alzato un vento freddo entrò un uomo.
Lei si voltò, rialzandosi il bavero, di certo infastidita, poi lo sguardo le si accese appena, si soffermò, indugiò. Pochi attimi ancora e si definì sul suo viso quell'espressione infantile e stupita. Che non ricordavo.
Salutò l'uomo forse troppo vagamente, un lieve rossore si diffuse dagli zigomi alla fronte.
Repentina, ma ancora distratta, si rivolse nuovamente a me. Sollecita.
Zucchero?”
Allora vidi per la prima volta i guanti rossi, che sfilò per sollevare il cucchiaino, rivelare mani bianche e belle. E notai per la prima volta il cappotto blu doppiopetto, che portava allacciato stretto sul davanti, mostrare la figura snella.
E quel gesto, quel raccogliere i capelli con entrambe le mani, scoprendo il collo lungo e il piccolo neo sul lobo dell'orecchio, no, non lo conoscevo.

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