venerdì 30 novembre 2012

Vento che parla


Grazie a Pier, cito da Chocolat.

C’era una volta un piccolo e silenzioso villaggio nella campagna francese; gli abitanti credevano nella Tranquilité, la tranquillità. Se vivevi in questo villaggio, sapevi ciò che ci si aspettava da te. Conoscevi il tuo posto nello schema delle cose. E se ti capitava di dimenticarlo, qualcuno ti avrebbe aiutato a ricordarlo. In questo villaggio, se vedevi qualcosa che non avresti dovuto vedere, imparavi a guardare dall’altra parte. E se per caso i tuoi desideri non erano stati soddisfatti, imparavi a non chiedere mai di più. E cosi, nel buono e nel cattivo tempo, nella fame e nelle feste, gli abitanti del villaggio si mantenevano saldi alle loro tradizioni. Finché, un giorno d’inverno, non soffiò un irrequieto vento del Nord…

Sbirciare finalmente fuori dalla porta, ma anche filtrare il dentro, come un bambino fa col setaccio, la sabbia fine e le conchiglie.

Il vento parlò a Vianne di paesi ancora da visitare, di amici bisognosi ancora da scoprire, di battaglie ancora da combattere…da qualcun altro, la prossima volta.
E fu così che il vento del Nord si stancò e andò per la sua strada.

Considerato che il cioccolato è la panacea di tutti i miei mali, il saluto del mattino spalmato sulle fette dorate al sesamo, il fondente accostarmi alle ore della sera e della lettura, direi che la citazione si cuce bene su di me.

giovedì 29 novembre 2012

Crostini e direzione


Piccolo summit serale. Non devi spiegare niente, no, puoi solo stare.
Un crostino al baccalà, un bicchiere di vino. 
Si parla.
C'è chi vuole mollare, e tutti a dire che non è il momento. No, non adesso, hai un valore, un peso. Conti. Ci mancheresti ogni minuto.
E lei, che non avresti detto. Più vicina di quanto pensavi. E lui, che scruta, osserva, coglie.
Poi c'è chi infila una notizia perfetta. Di quelle che sanno solo di Vita. E scatenano abbracci, commozioni, gesti goffi.
Ci sono anche i sorrisi, che passano da una bocca all'altra, e contaminano anche te, che magari non hai voglia. Allora alzi le sopracciglia, scambi uno sguardo che dice tanto, fai cenno con la testa, ridi. 
Fuori, ci accoglie la piazza, e un vento freddo mi spettina le intenzioni. 
Vorrei sapere dove andare. Ma stasera capisco che presto, mi sarà chiaro.

mercoledì 28 novembre 2012

Ti dicono


Ti dicono cose inutili. Le scavalchi.
Ti dicono cose belle. Ti sorprendi, raccogli. Metti da parte, per il tempo di magra.
Ti dicono cose di peso e spigoli. Allora dipende da come stai. Da come si muovono le tue mani. Inquiete, lievi, carezzevoli, fresche, nervose. A seconda. Le cose pesanti possono lambirti appena, o fenderti. Lasciare tracce di lumaca o lasciarti dissanguato.
Conta però dove le depositi, infine. Perchè scartarle non puoi, le devi conservare. 
Ma dove? 
In frigo, pronte per essere recuperate quando sei pesto, liso, e sai di poter scendere ancora più in basso? 
In cantina, umide di risentimento, scure di dolore? 
O in soffitta, archiviate e soffici di polvere, sotto un nido di rondine?

lunedì 26 novembre 2012

Amori complessi


Caro Moreno,
questa sera novembrina e fresca, mi porta l'odore di casa tua. Un misto di cavolfiore e cera spray, di appretto e fogli di quaderno. 
Vite diverse, le nostre. La tua mamma faceva la casalinga, la mia infilava perle. Il tuo papà timbrava il cartellino, il mio si occupava di moti terrestri. Io non portavo la merenda a scuola (mi comperavo le patatine strada facendo), tu estarevi dalla stagnola lucente favolosi panini con l'ossocollo.
Quanta invidia. Quanto avrei desiderato una mamma imbellettata e col grambiule, come la tua. Rassicurante, come la pubblicità dell'ammorbidente.
Tu mi amavi, lo so. Perchè costruivo mondi. Il forno volante, le infinite storie d'amore al Saloon (ti ricordi, come ti insegnavo a strizzare l'occhio alla bionda svampita, che peraltro ero io stessa?), i cugini invisibili, che vedevo solo io, ma dei quali ti riferivo i messaggi in codice.
Posso ben capire, che incontrando mia madre presso la banca in cui lavori, qualche anno fa, tu abbia dichiarato con un sospiro "Gioia...non l'ho mai dimenticata".
Ti sfido io.

domenica 25 novembre 2012

Specchi


L'ha abbracciato talmente forte che lui non ha avuto altra scelta che smettere di agitarsi dentro l'abbraccio.  
(E. Nevo)

Dobbiamo essere centrati, bastarci. Ma è nella relazione che noi ci definiamo. Nello specchio.
Yuval, nella Simmetria dei desideri, finisce per allontanarsi da quello in cui crede, dalla sua essenza. 
Non capisco cosa ci sto a fare qui.
Non capisco più cosa significa la parola "io".
Non capisco cosa mi distingue da una bestia.
Non capisco perchè vorrei gridare ma la voce non mi esce.
Non capisco cosa c'è da capire.
Non capisco niente.
E' quando ritrova Amichai, l'amico di sempre, le spalle larghe e l'andatura allegra, e si riflette in quello sguardo pulito, che si riprende quello che credeva perduto. Amichai porta il ricordo di uno Yuval sano, autentico, amato. E lo riconsegna all'amico.
Sei arrivato al momento giusto fratello, sei arrivato un attimo prima della disperazione. E per fortuna che sei arrivato tu, fra tutti. Perchè nessuno è capace più di te di ricordarmi che al mondo esiste il bene.
Improvvisamente, grazie alla presenza di Amichai, mi sentivo di nuovo un essere umano.

sabato 24 novembre 2012

Talenti


Ognuno porta i suoi talenti. Più o meno eclatanti, più o meno luminosi.
Ad alcuni, non è stata data la possibilità di dirli, di mostrarli. I più fortunati invece, si guadagnano da vivere con i loro talenti. 
L'importante, è riconoscerli.
Sì, ci sono i mistificatori, quelli che camuffano le strategie da talenti. Le astuzie da virtù. Ma non hanno tenuta.
Io so vedere. Con i bambini, questo risulta più evidente. E' come se li accogliessi senza le paure, la fragilità, i fili invisibili tesi da chi li ama. Nudi.
Quando indosso l'abito della psicomotricista (mestiere per il quale sarei formata, ma che mi carica addosso tutto l'altrui dolore), e metto un bambino nelle condizioni di mostrarsi e consegnarsi a me, so dare il meglio. Estraggo oro. Un talento. 
Eppure, ho scelto un'altra strada. Meno sconnessa, meno esposta.
Ieri ci pensavo. Se la Vita ci affida un talento, non possiamo permetterci di lesinare. Dovrei metterlo a servizio, questo dono, e donarlo, a mia volta. Non capitalizzarlo, solo offrirlo.

venerdì 23 novembre 2012

Dalla cenere


"Quando la notte" della Comencini. E "Come Dio comanda", di Ammaniti. 
Romanzi che amo, e che hanno trovato una felice trasposizione cinematografica.
Timi ha dato volto e voce a Manfred e Rino Zena. Personaggi aspri.
«Magari non avrei fatto questo mestiere meraviglioso se non mi fossi ritrovato a rischio epilessia, balbuziente e mezzo cieco», confessa.
È balbuziente, ex obeso, di origini proletarie e da anni convive con il morbo di Stargardt, malattia rara, che atrofizza le cellule coniche dell'occhio. Ma è attore, poeta, pittore. Scrittore.
«Però che fatica, a volte. Sarà perché noi balbuzienti attiviamo anche trecento muscoli alla volta, incluse le dita dei piedi, nello sforzo per far uscire una parola. Ma con gli anni ho imparato a voler bene alle mie paure, ci rido sopra. Non siamo così importanti».
Non siamo così importanti. Se potessimo esserne davvero consapevoli.

giovedì 22 novembre 2012

Presenze


Sì, sono difficile da sostenere in questo periodo.
Chiedo venia, pubblicamente.
Allora grazie. A chi accoglie, ascolta e prova a dire. A chi prende le misure e non domanda. All'amico che mi confeziona la cura omeopatica per dormire (ehi, pare funzioni!), alle parole ponderate di un'amica sopra il cappuccino fumante. E allo sguardo dolce e severo di chi mi soppesa, mentre scrivo alla lavagna o faccio una fotocopia. Alla mamma che mi chiama da Bologna e dice "ti compro qualcosa?", così, come niente fosse.

Ultimo frammento

E hai ottenuto quello che
volevi da questa vita, nonostante tutto?
Sì.
E cos'è che volevi?
Potermi dire amato, sentirmi
amato sulla terra.
(R. Carver)

mercoledì 21 novembre 2012

Les routines


Sono abitudinario. 
Ogni mattina percorro la stessa strada. Attraverso corso Cavour, prendo il giornale e svolto a destra. Bevo il caffè al numero 24 di via D'Azeglio, sempre macchiato e senza schiuma.
Potrei cambiare, le varianti sarebbero infinite. Invece preferisco ripetermi: stessi luoghi, stessi sapori, stesse facce, stessi cani a spasso. Una rassicurante coperta lisa.

Martedì.
Fermo al passaggio pedonale in attesa del verde, ho visto una donna che leggeva, camminando. Una falcata lunga, una gonna gitana.

Giovedì.
Ieri non indossava la gonna da zingara. Però leggeva, tenendo il libro alto. Quando ha attraversato la strada ho visto il titolo: La vita davanti a sè.
Allora durante la pausa me lo sono comperato, magari un titolo così mi aiuta.

Venerdì.
Ho deciso di seguirla. Così tanto per fare. Vorrei vedere dove va, che lavoro fa. Deve aver messo a punto una tecnica per leggere mentre cammina, perché evita persone ed ostacoli, senza mai calare il libro.
Lavora alle poste. Non l'avrei detto.
Un ufficio postale appena fuori dal centro storico, ma piccolo, con due sportelli. Quando varca la soglia la porta scorrevole si apre, e lei ripone il libro nella borsa.

Lunedì.
Dovevo inviare un plico. Così, invece di raggiungere la posta centrale, un isolato dietro l'ufficio, ho camminato. Gli occhi sulle punte delle scarpe, l'oscillare lieve delle braccia.
C'era gente.
Mentre aspettavo in coda la osservavo: il suo modo di muoversi richiama la falcata. Senza fretta, con attenzione, cura. Sorride ad una signora che riconosce, si rivolge ad un bambino, gli chiede qualcosa.
“Buongiorno. Prego”.
“Devo inviare questo”.
E' spettinata. Mi verrebbe da scostarle i capelli dalla fronte. Sotto, scuri e appena cerchiati, gli occhi si muovono sulle cose. Il timbro, una penna, il telefono.
“Mi fa una firma qui?”
“Non ha detto firmetta, vero?”
“Come, scusi?”
“No. Dicevo che si usa il temine firmetta. Lo trovo orribile”.
Ride, mi guarda da sotto, mentre firmo.

martedì 20 novembre 2012

Genere

Due chiacchiere con Matteo, 3 anni. Pronuncia la effe al posto della esse. La zeta al posto della ci. Dimentica la erre.
"Maestra io non posso essere una femmina".
"Perchè?"
"Perchè nei pantaloni c'ho la superficie".
"Cos'è la superficie?"
Lui serio, si infila le mani nei pantalloni di velluto.
"Ecco, è questa carne che tocco qui, la superficie".

lunedì 19 novembre 2012

In vena di ricordi


Non mi capita mai di pensare con nostalgia alla mia infanzia. Trovo che sia dura, essere bambini. Alla faccia della spensieratezza e dell'assenza di peso.
Però c'era Giovanni. Quando estraggo dal sacchetto dei ricordi belli, lo ritrovo, sempre.
Giovanni ben pettinato e col grembiule, che cucina un soufflè.
Giovanni appisolato sulla poltrova di velluto verde, le mani grandi posate sul gilè.
Giovanni col cappello, il cane al guinzaglio.
Giovanni composto sulla sedia, che legge Pinocchio a una me troppo curiosa, che interrompe e interrompe.
Giovanni che allontana quel primo morosetto, reo di avermi accompagnata a casa in canna alla sua bici rossa.
E' valso bene un'infanzia, questo nonno passionale, bello. Che onoravo di riccioli biondi e devoti saltelli.

domenica 18 novembre 2012

Crescere, raccontarsi

In fondo siamo come tutti, entriamo in una discoteca di fighetti, guardiamo le fiche come dei morti di fica, cerchiamo le puttane mentre il mondo va a puttane, e torniamo a casa lobotomizzati dal destino, inevitabile, di fare prima o poi, quel che fanno i tuoi vicini di casa - almeno morissero tutti nel prossimo terremoto che ci raderà al suolo -, perché i tuoi vicini sono il modello di uomo da rispettare, e te invece sei la pianta selvatica da estirpare, il fagiolo delle fiabe che germoglierebbe gigante, ma che viene ridotto a bonsai...

Adolescenze. 
Leggo di altre vite.
Si può scrivere la propria biografia da burocrati: elenchi, nomi, date.
Si può raccontare sè accompagnando il lettore ad annusare, sbirciare, origliare. Sulla soglia.
Si può invece vomitare quello che è stato, con la crudezza e la forza della verità. In cima alla vertigine, rischiando la censura, il rifiuto, la paura che genera l'abisso altrui. Perchè è sempre un po' anche il nostro.
La potenza della vita, che se la vuoi raccontare, non è roba da sfiorare, ma su cui sbattere di faccia.
Adolescenze. 
La mia impervia, grigia, di periferia. Poteva essere rischiosa, ma io sempre al timone, sempre in bilico, stolta e saggia. Anche quando tutto intorno perdeva i contorni, e circolava quello che non doveva circolare, e l'amica si svendeva, e i colori erano troppo forti. 
Quindici anni, un metro e settantacinque di controllo e sensi allerta. Lì ho imparato a tenere le redini ben salde. Ma ho fatto tutto nei tempi sbagliati. Sono cresciuta troppo in fretta.

sabato 17 novembre 2012

Ancora sabato


Sorprese.
E' finalmente arrivato il libro di Marilde.
Ora me lo godo.
C'è qualcosa di prezioso che scorre quando ci si mette all'ascolto delle vite altrui.
Sì, io potrei nutrirmi di storie.
La vecchia filanda che volevo fotografare da dentro, è inaccessibile. Scavalcherei anche il muro, ma misura almeno tre metri.
La vecchina un po' persa che sembra custodire i segreti di questo luogo, si rifiuta di aprirmi il cancello e continua ad accarezzare un gatto rosso, mentre mormora che tutti vogliono entrare lì dentro.
Prima o poi, ce la farò.

giovedì 15 novembre 2012

I Will Wait



Now I’ll be bold
As well as strong
And use my head alongside my heart
So tame my flesh
And fix my eyes
I tethered mind freed from the lies

And I’ll kneel down
Wait for now
I’ll kneel down
Know my ground

Raise my hands
Paint my spirit gold
And bow my head
Feel my heart slow

Cause I will wait I will wait for you
And I will wait I will wait for you
And I will wait I will wait for you
And I will wait I will wait for you

mercoledì 14 novembre 2012

Global spleen


Il Centro Commerciale mi mette tristezza.
Ieri, l'ho sfiorato. Un libro, una spesa senza pensare (alla cassa, guardo il cestino e mi rendo conto di aver preso quattro cose inutili), e poi veloce, a casa.
Mi viene da solidarizzare con le commesse. La luce non entra mai, pare giorno di sera, pare sera di giorno.
"Scusa", mi dice una ragazza stanca, "stavo sbagliando di darti il resto".
"Figurati", rispondo, "sono stanca io che sto qui da venti minuti, figuriamoci come stai tu".
Lei si scioglie, sorride.
"Guarda che occhi", aggiunge.
E' vero, ha gli occhi arrossati, ma spenti.
Solo quando esco, nell'enorme parcheggio all'aperto (no, nei loculi al chiuso non metto la mia auto), realizzo che proprio davanti al colosso, al suo centro nevralgico c'è un enorme e stucchevole albero di Natale.
A novembre.
Decido, seduta stante, che questo Natale, non sarà come gli altri.

martedì 13 novembre 2012

La caduta



"E io, per la prima volta in vita mia, non mi sono accontentato di ascoltare; le ho rivelato che prima di lei c'era stato il deserto, che avevo ormai accettato l'idea di essere condannato a vivere senza amore, al di fuori di quello per le donne immaginarie che mi creavo ogni notte per poi cercarne di simili per strada. Nei negozi. Nei giardini dell'università. Le ho raccontato della mia collezione di donne immaginarie con la dovuta autoironia, nel tentativo di creare l'impressione che appartenessero al passato, proprio mentre covavo il dubbio che lei stessa fosse immaginaria, e che alla fine della nostra cavalcata mi attendesse una caduta niente affatto immaginaria. Arrivavo addirittura a desiderarla un pochino, quella caduta. Quei secondi immediatamente successivi alla caduta in cui tutto è improvvisamente silenzio."
La simmetria dei desideri (E. Nevo)

Desiderare la caduta. Quando tutto sembra andare troppo bene.
Cosa ci spinge a cercare vie di fuga alla felicità?
Immaginarsi l'Apocalisse, il cancro, per scoprire con sollievo che si tratta solo di un'influenza.
Sperare nel peggiore degli scenari per scappare dall'ansia e confinare tutto nel fuoco fatuo.
Siamo animali spaventati, ingentiliti da scarpe e cravatte. La gioia pura, ci rende veri, ed è dalla nostra verità che fuggiamo.
Ma porgere il fianco alla felicità è la sfida di pochi impavidi.

lunedì 12 novembre 2012

I miei luoghi


Avrei già voglia di tornare.
Lì, a Donoratico.
La vecchia cascina e il pavimento antico, le piastrelle bianche e nere. Che attraverso a piedi nudi, il costume ancora umido, un po' di sabbia sui polpacci.
La frutta della Elvira, una pesca bitorzoluta il cui sugo rosato mi cola fra le mani.
E quella spiaggia lunga, silenziosa, di grana spessa e conchiglie intere. Una schiacciata ai fiori di zucca che mi unge la bocca, mentre continuo, incosciente, a farmi bruciare dal sole.
Nostalgia.
Sarà la pioggia che non dà tregua.

domenica 11 novembre 2012

Creativa insonnia

L'insonnia è una brutta bestia.
Qualche amico, dall'alto della sua esperienza dice leggero: "prendi un po' di benzodiazepine, altrimenti impazzisci". 
Altri ti mettono in guardia: "non diventare schiava della chimica".
Provi con l'omeopatia. Zero.
Tenti con l'erboristeria. Nessun effetto.
Allora cedi. Ingoi la malefica pastiglietta. Attendi fiducioso i suoi effetti da droga cattiva.
Torpore? No.
Sonnolenza? Per niente.
Sarò mica benzodiazepine-resistente?
E che fare alle ore 5.30, quando fuori piove?
Pancakes e scones.

sabato 10 novembre 2012

Sabato brumoso dell'est


Conoscerai un grande dolore e nel dolore sarai felice. Eccoti il mio insegnamento: nel dolore cerca la felicità. 
 (Fedor Dostoevskij)

Avidamente allargo la mia mano: 
dammi dolore cibo cotidiano.
(Salvatore Quasimodo)

Pensavo oggi al dolore.
Ci sono dolori che si radicano. Si rovesciano con forza distruttiva, spazzano, fanno piazza pulita, non lasciano nulla di vivo. Resistono, tenaci, anche quando gli anni portano via il ricordo. Forgiano, ma scrostano smalto, sorrisi.
Ci sono dolori che si leniscono. Il tempo, le carezze, qualche terra o mare da attraversare, e di loro non resta la traccia sporca. In fondo, fra le pieghe, solo piccoli semi verdi e teneri, capaci di schiudersi. Guidano.
Ci sono dolori che si nutrono. Di vuoti, di assenze, di ricordi, di rabbia. E sono i più cattivi. Perchè possono rimanere sopiti e silenti, senza annunciarsi, senza presentarsi e chiedere il permesso. Salvo colpire, a sorpresa, mentre sistemi le tue carte in scala, o addenti una mela, oppure distratto, raschi un po' di zucchero sul fondo di un caffè.

venerdì 9 novembre 2012

Sentirsi amati


Scrittori in erba. Sette, otto, nove anni.
Seduti attorno al tavolo rotondo, parliamo di letture.
Cosa rende un racconto avvincente?
Cosa mi impone di non mollare la presa e continuare a leggere, dimenticando che intorno, tutto si muove?
Avanzano ipotesi, parlano delle storie che li tengono inchiodati.
Leggiamo qua e là qualche passo, estraggo dai libri per ragazzi incipit curiosi, passaggi divertenti, descrizioni cariche di phatos.
Racconto loro che per diletto scrivo, ogni tanto.
Giacomo pare incredulo. "Tu? Ma sei la nostra maestra".
"Al mattino sono la vostra maestra, nel pomeriggio faccio anche altre cose".
Miriam si acciglia. "E se poi sarai bravissima e famosa?"
"Fantastico", dico ridendo "gudagnerò un sacco di soldi".
Lei mi osserva, prova a capire.
"Ma io non voglio che diventi ricca, perchè poi te ne vai e arriva un'altra maestra".
Strappi al cuore quotidiani.

giovedì 8 novembre 2012

Jobs for me


A quindici anni volevo fare il tecnico di laboratorio.
A venti, giurisprudenza.
Mio padre si oppose, in uno di quei rari momenti in cui si vestiva di saggezza paterna. Si oppose scioccamente in realtà, sostenendo che un avvocato deve difendere anche gli assassini. Che cretinata. Detta da un professore universitario, poi.
Così ciondolai alla facoltà di Scienze Naturali, senza costrutto.
Ma a posteriori vedo in quella non-scelta un senso. La tesina da me presentata all'esame di maturità, titolava: "Il ruolo della fiaba nello sviluppo del bambino". Premonitorio.
E come dice Mary citando Jobs, bisogna avere fiducia che in qualche modo, nel futuro i puntini si potranno unire.
Ci conto.

mercoledì 7 novembre 2012

Diversità e dintorni


Seduta di Pratica Psicomotoria con i bimbi di tre-cinque anni.
Facezie, dolcezze e racconti in cerchio, prima di iniziare.
Tutti vogliono stare vicino a me, abbiamo dovuto stabilire una turnazione che rispettano e fanno rispettare, con rigore austroungarico.
La regola è "uno alla mia destra e uno alla mia sinistra", altrimenti, con la creatività tipica dell'infanzia, avevano tentato di sfruttare anche il mio spazio anteriore e posteriore. Ma poi del cerchio, non restava alcuna traccia.
Insomma, ieri. Qualche chiacchiera, narrazioni.
Mark, quattro anni, che porta in eredità un musicale accento ucraino, dice: "al parco ho visto un bambino brutto".
Gli chiedo cosa avesse di brutto questo bambino.
"Era tutto nero: la faccia, i capelli, gli occhi, le mani".
E la Cleo, con la scioltezza che può avere solo una Cleo, dice canzonatoria "ma non era mica sporco, sai?"
E il Matteo, con la saggezza che hanno i Matteo, replica "siamo tutti uguali, anche se abbiamo pellicce diverse".


martedì 6 novembre 2012

Amore tenace


Canzoni, songs. Di quelle che ti fanno stare bene.
E mi scuso con Blackswan, che di musica ne sa. Ma io vado a tastoni, annuso. Senza tecnica.
Qui ci sono un violino, un mandolino, una chitarra. Quanto basta per ballare.
Oggi, temporale quasi estivo, nuvole nere e cielo giallo da fotografare. E questo Stubborn Love nei piedi.

lunedì 5 novembre 2012

Vedere


Ieri mi sono trovata in mezzo alla gente. E non gente mia, cara. 
Gente qualsiasi.
Una di quelle occasioni in cui le frasi fatte e vuote fioriscono copiose, in cui l'ordinarietà dei gesti, dei piccoli aggiustamenti del corpo, gronda di amarezza e assenze.
Evito di parlare se non serve, evito di muovermi se non è richiesto. Evito la gente, se posso.
Ma quando non mi riesce di evitare devo per forza accomodarmi, adeguare il passo, conformare l'espressione. Altrimenti tutto stride. E diventa insostenibile.
Ieri ci ho provato a confondermi. Non ci sono riuscita.
Cos'è che mi fa cogliere in un volto, in un sorriso, il peso di perdite e sconfitte? E' come guardare e scorgere l'essenza, attraverso un rilevatore interno che non vorrei. Come posso disattivarlo?
Così vedo gli occhi inquieti e febbrili di una donna, sotto una frangia troppo nera e troppo geometrica. Il viso stanco di un uomo, che fascia la tristezza con umorismo a buon mercato. E la mano tremante di un altro, che tenta l'ammutinamento ad una vita fedifraga.
Torno a casa piena di scorie. 
Non so che farmene di questo sguardo spietato e crudo sulle cose. Non l'avevo chiesto in dotazione.

domenica 4 novembre 2012

Sazia


Mi dice.
"Sai perchè posso dare così tanto? Perchè ho ricevuto tanto. Tanto. Mi sono saziata".
Lei, limpida che pare una ragazzina, è già nonna.
Un corso ci ha fatte incontrare, ma era scritto. 
L'unica con l'auto sono io, devo caricare altri corsisti alla stazione, bisogna organizzare, sentirci, coordinarci.
Dice, ancora.
"Avevo capito che mi saresti piaciuta dal primo scambio di mail, ancor prima di vederti. Ecco, questa è avulsa e caotica come me. Mi pareva consolatorio".
Quando è salita in macchina, ha portato quel sorriso bambino, e l'aria leggera di chi sa sfottersi.
Oggi, in una delle nostre telefonate lunghe che colmano distanze, mi ha raccontato delle tagliatelle preparate per l'intera famiglia, della gioia luminosa di ricevere figli, nuore, nipotina, attorno alla sua tavola.
"E anche se lavoro tutta la settimana, se il mio lavoro mi porta a raccogliere le storie altrui, e sono stanca, non vivo con frustrazione il passare una giornata a cucinare, pulire casa, in attesa dei miei cari. Solo perchè, quand'era il mio momento, sono stata donna. Non moglie, madre, nonna, figlia. Donna".


 Laboratorio estivo di autonarrazione e scrittura autobiografica.
Le tagliatelle , i ricordi legati a profumi e sapori.

sabato 3 novembre 2012

I segni


I segni.
Ci sono sempre dei segni, a voler ben vedere.
De Giorgi ammalato. E la scelta di non prendere il treno. Il bel tempo previsto, una cantonata.
Ma è facile rilevare i segni a consuntivo. Dar loro un senso.

"Ci devo andare io, non posso fare altrimenti". E lo diceva infilando lo spazzolino nel borsello da viaggio, un paio di pantofole nel sacchetto, spostando il cordless da una mano all'altra.
"Ma sono quasi trecento chilometri".
"Mamma, un paio d'ore ore e sono arrivata".
"Non serve correre".
"Non correrò. Me la prenderò comoda. Dice la tv che sarà una bella giornata".

Invece pioveva. Senza requie. Il tergicristallo rincorreva acqua pesante a secchiate. Mai finita.
Pensò che doveva fermarsi, accostare.
Pensò che le serviva un bagno, già che c'era.
Pensò che poteva scendere rapida, senza ombrello.
Fradicia si riparò sotto la tettoia.

"Ma smetterà?"
Solo così le aveva detto, senza guardarla. Lui tutto raccolto in quel gesto, le braccia incrociate sul petto, il collo esposto mentre guadava in su, e attendeva.
"Lo spero".
Banalità.
Eppure l'aveva vista scendere, portare le mani bianche alla testa, nel tentativo di ripararsi, vano.
Eppure aveva raccolto con gli occhi, quella goccia pesante, che lenta scivolava dalla nuca alla spalla.




venerdì 2 novembre 2012

Prima Neve


Nevica, sul Carso.
Una prima neve che odora di pioggia e foglie.
Dicono che non attaccherà.
Ma.
Cos'è questa litania di grossi fiocchi? Cosa mi dice, la lenta discesa di bianco, fuori stagione?
Un'auto rossa attraversa la cortina sospesa, spezza il silenzio già fitto, cambia le cose, in pochi istanti.
I piedi freddi negli stivali, gli occhi levati al cielo, a chiedere come ridursi, a più miti consigli.

Dare un libro solo per conoscersi meglio,
lasciare un letto a volte costa un po' di piu'.
Costa meno quanto questa campagna
che non ci appartiene,
che sentieri in salita e discesa
che forse mi assomigliano un po'.

Godi Amore, Diaframma

giovedì 1 novembre 2012

L' ardimento della resa

Finalmente me lo sono visto.
L'espressione asciutta e scarna di Brody trova casa in questo belissimo film, pessimista e malinconico.
Una fotografia da togliere il fiato, che mi tiene lì.
Movimenti di macchina al minimo per concedere spazio e tempo di “assorbimento visivo” alle inquadrature spesso statiche e riempite da grandi primi piani dei volti e dei loro dettagli.
Ecco cos'era. Il movimento anomalo e quasi amatoriale sui particolari.





La trama, non so perchè, mi apre un cassetto di ricordi e storie. Una poesia.

L'ardimento terribile di un attimo di resa
Che un'èra di prudenza non potrà mai ritrattare

Secondo questi dettami e per questo soltanto noi siamo esistiti, per questo
Che non si troverà nei nostri necrologi
O sulle scritte in memoria drappeggiate dal ragno benefico
O sotto i suggelli spezzati dal notaio scarno
Nelle nostre stanze vuote

Ho udito la chiave
Girare nella porta una volta e girare una volta soltanto
Noi pensiamo alla chiave, ognuno nella sua prigione
Pensando alla chiave, ognuno conferma una prigione
Solo al momento in cui la notte cade, rumori eterei
Ravvivano un attimo un Coriolano affranto

La barca rispondeva
Lietamente alla mano esperta con la vela e con il remo
Il mare era calmo, anche il tuo cuore avrebbe corrisposto
Lietamente, invitato, battendo obbediente
Alle mani che controllano

T.S. Eliot