sabato 3 novembre 2012

I segni


I segni.
Ci sono sempre dei segni, a voler ben vedere.
De Giorgi ammalato. E la scelta di non prendere il treno. Il bel tempo previsto, una cantonata.
Ma è facile rilevare i segni a consuntivo. Dar loro un senso.

"Ci devo andare io, non posso fare altrimenti". E lo diceva infilando lo spazzolino nel borsello da viaggio, un paio di pantofole nel sacchetto, spostando il cordless da una mano all'altra.
"Ma sono quasi trecento chilometri".
"Mamma, un paio d'ore ore e sono arrivata".
"Non serve correre".
"Non correrò. Me la prenderò comoda. Dice la tv che sarà una bella giornata".

Invece pioveva. Senza requie. Il tergicristallo rincorreva acqua pesante a secchiate. Mai finita.
Pensò che doveva fermarsi, accostare.
Pensò che le serviva un bagno, già che c'era.
Pensò che poteva scendere rapida, senza ombrello.
Fradicia si riparò sotto la tettoia.

"Ma smetterà?"
Solo così le aveva detto, senza guardarla. Lui tutto raccolto in quel gesto, le braccia incrociate sul petto, il collo esposto mentre guadava in su, e attendeva.
"Lo spero".
Banalità.
Eppure l'aveva vista scendere, portare le mani bianche alla testa, nel tentativo di ripararsi, vano.
Eppure aveva raccolto con gli occhi, quella goccia pesante, che lenta scivolava dalla nuca alla spalla.




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