Qui si facevano i mattoni. Ce ne sono ancora, a cumuli, negli spazi esterni.
Appena oltrepassato il cancello (chiusissimo, ma nulla è impossibile...), si incontrano gli uffici.
Tutto è aperto, si entra, si spalancano porte.
Pare che qualcosa
abbia spazzato via la vita, che solo un attimo prima colmava queste
stanze: sedie, scrivanie, raccoglitori, cassetti, computer.
Chi c'era
qui? Che storie raccontava? Cosa diceva al telefono?
Poi i magazzini. Vetri rotti, un armadio
divelto. Dentro un cassetto tante chiavi. Cosa aprono queste chiavi?
Chi le ha messe qui?
Poca luce filtra dall'alto, l'odore stantio e umido è pesante, fastidioso.
Una gabbietta pende dall'alto, attraversata da un raggio di sole.
Acqua stantia e verde per terra, e più indietro, il corridoio lungo e scuro delle celle-forno. Mette i brividi.
Non so cosa mi affascini di questo
nulla, questo nulla così pieno, questa morte così viva. Eppure mi
calamita, mi chiama, sento di entrare in contatto con qualcosa di dolce e
profondo che mi porto dentro.
L'eco dei miei passi, il rumore di una goccia che cade. Il traffico è lontano, qui ci sono solo respiro e luce.
Nessun commento:
Posta un commento