«Crediamo nella chiesa povera, umile, sobria, essenziale, libera da ogni
avidità riguardo al possesso dei beni. La
Chiesa quindi paghi doverosamente le tasse riguardo a quei beni che non
sono in modo chiaro ed evidente finalizzati alla solidarietà, alla
promozione sociale, al bene comune».
L'unica omelia che sostengo, da qualche anno a questa parte, è quella aspra e feroce di un sacerdote di frontiera. E questo sacerdote sta facendo la storia, insieme ad altri, pochi, "ultimi con gli ultimi".
Sono una parte importante della storia del cattolicesimo nel nord est
italiano. Sono i dieci preti autori di una lettera pro
eutanasia che da molte parti è descritta come “il documento cristiano
più significativo sul caso Englaro”: sono favorevoli a una legge che disciplini il testamento
biologico. Ma anche perplessi sull’atteggiamento di coloro che
definiscono “omicidio” la scelta “drammatica vissuta nell’ambito di una
relazione d’amore”.
Questi sacerdoti si rifanno alle “comunità di base” e all’esperienza dei
“preti operai” iniziata in Francia nel 1943, quando venne denunciata la frattura fra la chiesa e le masse
popolari nelle periferie.
E il don, che tutti chiamano solo Franco, porta sulle spalle una comunità difficile e viva, dove coesistono genti, lingue, solitudini. Un uomo, tormentato e complesso, prima ancora che un sacerdote.
Mi piacerebbe dirgli "grazie".
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