Juno. Grande film sull'adolescenza e la saggezza che la contraddistingue. Se noi adulti vogliamo.
Che rabbia quando sento dire “i giovani”. Che poi si
declina a scelta con “non comunicano”, “non studiano”, “sono
sempre davanti al pc”, “non leggono”...
Ma
questi adulti cazzuti, sono consci di emettere giudizi pesantissimi
sul loro stesso conto? Sono consapevoli di aver piazzato ad un certo punto
i loro bambini davanti ad un lettore dvd in auto, mentre li
spostavano da una località all'altra, impedendo loro di osservare il
placido scorrere del paesaggio? Sanno che è stata una loro scelta
quella di acquistare il secondo pc, “così il bambino fa le
ricerche in camera sua”, quando sì e no il loro pargolo sta apprendendo
l'ABC delle emozioni?
E
adesso si lamentano.
Perché
quel pargolo non fa più solo le ricerche, ma chatta, si guarda i
video porno, acquista e vende, con un'abilità che quel genitore
difficilmente eguaglia e controlla.
E
adesso dicono che i loro figli “non parlano”.
Con
chi dovrebbero parlare? Ma soprattutto, perché?
Ha
mai pensato, quel genitore deluso, di offrire una confidenza, di
condividere un segreto, di chiedere un consiglio, all'adolescente
muto? Certo, prima che diventasse muto.
Sono
arrabbiata. Li cresciamo nella società fast e vuota del consumo, poi
pretendiamo che se ne affranchino, così, senza dolore. Vorremmo che
fossero meglio di noi. Vorremmo che fossero soddisfatti di ciò che
hanno, anche se noi cambiamo auto, telefonino, abito, faccia, quando
ancora egregiamente funzionano.
Ma
i giudizi più pesanti, più inutili, sono quelli degli insegnanti.
Hanno già deciso: questa è una generazione senza speranza di
redenzione, e non ci provano. Chi li segue verrà promosso, per gli
altri (la maggioranza) ci saranno fallimenti e disfatte. Ma questo
non è un loro problema.
Io
credo che non ci dicano la verità questi insegnanti. Credo che
abbiano una fottutissima paura. Che la posta in gioco sia troppo
alta, che sappiano (a priori) di non avere le carte in regola.
I
ragazzi stanno viaggiando a doppia velocità, sono sempre oltre. Sono
abituati a correre, a non attendere, perché noi li abbiamo cresciuti
così. Però a scuola vorremmo che cambiassero. Eh sì, che
tornassero sui banchi i diligenti studenti di cinquant'anni fa,
silenziosi, piegati, rispettosi, muti. Pronti ad accogliere il
sapere.
La
verità è che non sono capaci di stare al loro passo, questi
insegnanti. Non sanno che pesci pigliare, non catturano la loro
attenzione, non capiscono che loro sono nel movimento, nel gesto, nel
“qui e ora”.
Sono
vecchi. Ma vecchi nei concetti, nelle proposte, nel modo di valutare.
Vecchi, morti. E i ragazzi si sposano con la vita.
Allora
dissimulano, rovesciano colpe, evitano di sprimacciare le loro vecchie
idee, le loro vecchie lezioni, le vecchie risposte.
Non
colgono che l'alunno in terza fila (ma come si chiama?), che sembra
così attento e concentrato, in realtà segue assorto l'assordante
“tunz tunz” del suo I-pod.
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