“L'ho
visto, l'ho visto, era morto!”
Jim,
Claire e Ryan hanno imparato a non dargli troppa importanza. Ben
fa così, per un bisogno di tenersi addosso i loro occhi attenti, per
il piacere di osservare le lingue rosa molli, nelle bocche
spalancate.
Ma
questa volta sembra più concitato, senza controllo. La camicia
scozzese pencola, vomitata sul fianco dai pantaloni di velluto grigi
a coste. I lacci della scarpa da tennis hanno raccolto nel bosco fili
d'erba secca, fango, una foglia rossa.
“La
solita storia Ben”, dice Claire senza guardarlo, le mani nei guanti
gialli a palpare ogni costola di quel piccolo gatto maculato che si è
messa in grembo.
“Ma
no! Vi dico che è nel bosco, dietro la casa dei forestali. Fresco,
appena morto!”
“Sì, allora
dorme”. Jim fa una smorfia e sputa lungo, con quella sua aria di
uno che sa sempre le cose.
“Ragazzi
non sto scherzando, l'ho spinto con il piede, è morto!”. E Ben
caccia una voce stridula, che fa alzare gli occhi agli altri.
Ben
è cattivo a volte, sa sfottere senza pietà, tirando in ballo madri
e sorelle. Dalla sua però ha quella faccia di bronzo, quella
capacità di vendere merda per cioccolata, che tutti gli invidiano.
Adesso
invece pare più piccolo; due macchie rosse e larghe gli salgono dal
collo alle guance pallide, scese.
“Ti
sei pisciato addosso?”, dice Ryan sghignazzando.
La
madre di Ryan lavora di sera, nel locale con l'insegna rossa. I
fratelli di Ben dicono di averla vista adescare i clienti poco
vestita, ubriaca, e Ben lo racconta, sfidando i pugni lerci di Ryan,
i calci ciechi e furiosi.
“Dai,
venite. Dobbiamo vedere chi è. Lo giriamo, sta a faccia sotto”.
Ben
spera, vuole portarli nel bosco. Deve condividere questa smania,
questo senso di vuoto e pieno. Un morto.
Lui
voleva solo spiare suo fratello che si faceva uno spinello con
Arlette, li aveva seguiti mentre guadavano il fiume.
Rincorro
la gonna rossa di Arlette, non mi sfuggiranno questa volta. Ora
taglio per il faggeto, così non rischio che mi vedano. Tanto so dove
vanno. Arrivano fino al vecchio ponte, poi si siedono lì, con le
gambe che penzolano e fumano.
Passo
dietro la vecchia casa bianca dei forestali; qualche volta ho visto
la grossa coda della volpe sparire in un buco, sotto le radici della
quercia cava. Bastarda di una volpe, più svelta di me.
Scendo
la china a piccoli passi rapidi, più sotto c'è un sacco. Un enorme
sacco di juta, mezzo pieno, di quelli per la legna. Mi avvicino
piano. Un mocassino nero vecchio, rovesciato, una mano bianca.
No.
Non è un sacco, è un uomo riverso, i capelli radi, una gamba
piegata, l'altra allungata.
“Se
è una cazzata Ben, giuro che ti spezzo le ossa”, e Jim si avvia,
la mani in fondo alle tasche a frugare briciole e sabbia.
Subito
Claire e Ryan si alzano, lo seguono. E' lui il capo, anche se nessuno
l'ha mai detto.
Ben
corre appena avanti, ha paura. Forse qualcuno ha visto, il sergente è
stato avvisato e hanno portato via il cadavere. Nessuno gli
crederebbe più.
Claire
sta parlando, come fa lei, con la testa e le braccia in movimento.
“L'ho
trovato sul tappeto, speravo fosse crepato. Quel coglione, era solo
strafatto di birra. Rimane così per delle ore, a terra, la mamma non
lo tocca neanche. E quando si sveglia è incazzato e puzza come una
fogna”.
Ryan
dice qualcosa sul vomito, Claire ride e lo colpisce con un pugno
sulla spalla. Finiranno per sposarsi, pensa Jim a volte. Vivranno in
una di quelle case gialle con la staccionata e il barbecue, dietro il
centro commerciale. Avranno due bambini coi capelli di stoppa che
Ryan porterà al campeggio dei padri. Forse.
Ben
si volta ogni tanto e li aspetta. Ha quell'andatura da ragazzo
sovrappeso, con le ginocchia valghe che sembrano non sorreggerlo.
Invece ha fiato da vendere, come battitore è un portento e
l'allenatore dei Deer farebbe carte false per averlo.
“E
dai, muovetevi!”
“Ben
è un morto. Se è morto non si sposta da lì”, grida Jim e si
chiede se davvero questa volta potranno raccontarla. A scuola,
indugiando sui particolari macabri: la bocca spalancata, gli occhi
rovesciati all'indietro, qualche insetto che spunta dal colletto
della camicia, una mano chiusa ad artiglio.
Scendono
lungo il faggeto, sul tappeto di piccole foglie accartocciate, cadute
ormai da un pezzo. E' febbraio, alcune già sono terra molle, altre,
trasparenti, si lasciano attraversare dalle formiche e dal sole.
Ben
è sparito alla vista, anche gli altri ormai corrono.
“E'
ancora qui, è qui, venite!”, la voce è carica, tesa.
Così
come aveva detto, è a faccia sotto, dietro la casa bianca.
Claire
si ferma, le mani a coprire la bocca, Jim e Ryan raggiungono Ben, più
in basso.
“Lo
giriamo?”
Claire
singhiozza. “No, non voglio vedere, io vado a casa”.
“Claire,
smettila! Vieni a darci una mano”. E Jim è già in ginocchio per
terra, l'odore di muffa e bagnato gli sale alle narici.
“Aspetta”,
dice Ben, improvvisamente cauto, “se poi prendono le impronte e
tutte quelle storie lì?”.
“Sei
un cagasotto Ben, vaffanculo. Se non ve la sentite sparite, faccio da
solo. Via, aria!”.
Ryan
si accoscia accanto a Jim. “Secondo me dobbiamo solo stare attenti
a non sputare. Sui vestiti non restano le impronte digitali, ma se
sputi in giro quando parli è un casino”.
Parte
della tempia e l'orecchio dell'uomo sono scoperti. Claire guarda
l'orecchio di cera e pensa che sia troppo fragile, sottile.
“Allora,
io lo sollevo dalla spalla, tu dal fianco. Ok?”.
Ryan
fa sì con la testa, ma non vorrebbe toccare. Alita la sua paura, le
mani sono fredde.
Ben
e Claire sono immobili, le mani lungo i fianchi.
“Dai,
forza”, e Ryan guarda Ben, che sembra scuotersi. Si avvicina,
affianca le mani a quelle di Jim, dice solo “pronti”.
Contano
fino a tre, lo voltano.
Ci
sono momenti che ci raccolgono, che ci condensano, anche a distanza
di tempo, tutti interi. Quando li ricordiamo sappiamo di trovare noi
stessi, veri pezzo dopo pezzo. Non c'è un attimo di ipocrisia,
non un'espressione di convenienza, niente che non ci appartenga.
E
quando il tempo toglie i colori alle cose, è questo ciò che
resta. Quello che recuperiamo, come un pesce rosso dalla
boccia. Forse sonnecchiando in un mattino di sole, o seduti su un terrazzo,
il bicchiere tra le mani, un po' di nostalgia negli occhi.
Ma mi devi far venire l'ansia a puntate? E dopo? Che succede? Aspetta che vado a fare i pop corn, poi mi racconti :)
RispondiEliminaL'autunno fa riaffiorare cose lontane. Però se non altro sono cose dai colori caldi.
Il mio amico Massimiliano, dice che si è stancato di leggere le mie storie, perchè non sa mai come va a finire... :)))
RispondiEliminale storie non finiscono :)
RispondiEliminaE' così :)
RispondiEliminaScrivi benissimo, si vede che il dio Talento balla con te, ma per favore scrivi almeno un finale, fallo per me.
RispondiEliminaLe storie a volte finiscono ma solo per dar spazio ad altre nuove.
Massimiliano
Allora ci provo Max. La prossima, la scrivo per te :))))
RispondiEliminaPotrei parlare di un naturopata, che.......... ;)