A pranzo con la Giusy ieri. Lei una camicetta bianca e azzurra, io i pantaloni di lino. Fresche.
Parole lievi, gesti familiari (lei si sistema i capelli dietro l'orecchio, io gioco con la collana).
Si parla del controllo.
Quando metti paletti, quando vivi in sicurezza, ti serve il controllo. Devi verificare i livelli emotivi, devi misurare le distanze, non puoi allontanarti troppo, nè permettere che lo faccia chi ami. Allora chiami il controllo amore. Gelosia. Legame. Attaccamento.
Il controllo è subdolo, perchè travestito da routine rassicurante ti inchioda. E sbatte porte, e sigilla uscite, quando tu non guardi. Disegna percorsi che consumi e orizzonti su fondali di cartone. Così credi di star bene. Invece sei in una scatola.
E mentre parliamo, io e Giusy immaginiamo il controllo come una marea, che quando è alta ti impedisce di vedere sotto. Te ne stai lì, immerso fino al collo, e non vedi altro che acqua.
Quando la marea cala, piano piano emergono le rocce. Poi i sassi più grandi, poi i ciottoli. Alla fine la sabbiolina e le conchiglie. Poi i pezzetti di vetro smussati e colorati.
Sì, sei esposto. Sì tira vento. Sì, ti viene la pelle d'oca. Sì, ti possono vedere tutti.
Però, che spettacolo.
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