Nacque così, senza dolore. Tutti a gridare al miracolo.
Ma una cosa così piccola, così minuta e sottile, attraversa la vita, le cose, l'anima della gente, senza fare rumore.
Né provocarlo.
La percorse tutta la madre, dai minuscoli piedi alle giovani piume, sul capo. La percorse tutta come si fa con l'orizzonte.
“Luce”, disse, “questo sarà il suo nome”.
E Luce crebbe. Non conosceva il pianto, la caparbia ostinazione dei bambini, il goffo incedere. Ogni cosa era misurata, ogni gesto sensato.
La madre, di salute cagionevole, ben presto si ammalò e visse i suoi ultimi giorni accarezzando trine nella penombra di lavanda.
Ma una cosa così piccola, così minuta e sottile, attraversa la vita, le cose, l'anima della gente, senza fare rumore.
Né provocarlo.
La percorse tutta la madre, dai minuscoli piedi alle giovani piume, sul capo. La percorse tutta come si fa con l'orizzonte.
“Luce”, disse, “questo sarà il suo nome”.
E Luce crebbe. Non conosceva il pianto, la caparbia ostinazione dei bambini, il goffo incedere. Ogni cosa era misurata, ogni gesto sensato.
La madre, di salute cagionevole, ben presto si ammalò e visse i suoi ultimi giorni accarezzando trine nella penombra di lavanda.
Luce osservava la madre leggere e leggeva. Voltava le pagine senza sgualcirle, le sfogliava lieve, in un fruscio di sete.
Osservava la madre sorbire il tè e lo sorbiva. Le labbra rotonde, a suggere ogni aroma, occhi chiusi per vedere con la lingua.
E la madre, donna saggia, seppe morire così come aveva saputo partorire. Luce, inginocchiata muta al cospetto di quel corpo, ne tastò riverente ogni centimetro. La fronte di gesso, le mani di velluto.
“Disperati figlia, disperati”, disse la balia scuotendola. E i capelli le si sciolsero, ricaddero sul viso, si posarono sulle spalle, si allargarono nell'aria, aura e corona.
Non una lacrima. Non un gemito. Non un sospiro.
E la casa cadde nel silenzio, un silenzio di spifferi e ombre.
Osservava la madre sorbire il tè e lo sorbiva. Le labbra rotonde, a suggere ogni aroma, occhi chiusi per vedere con la lingua.
E la madre, donna saggia, seppe morire così come aveva saputo partorire. Luce, inginocchiata muta al cospetto di quel corpo, ne tastò riverente ogni centimetro. La fronte di gesso, le mani di velluto.
“Disperati figlia, disperati”, disse la balia scuotendola. E i capelli le si sciolsero, ricaddero sul viso, si posarono sulle spalle, si allargarono nell'aria, aura e corona.
Non una lacrima. Non un gemito. Non un sospiro.
E la casa cadde nel silenzio, un silenzio di spifferi e ombre.
Bussò senza troppa convinzione. Tutto lì attorno parlava di morte, abbandono, addii. Ma lui era stanco.
Già si apprestava a riscendere la china, quando udì distintamente, il rugginoso scorrere di un chiavistello.
Chiedeva asilo.
E asilo fu.
La vecchia, prendendogli il mantello, facendogli strada, servendogli la zuppa, disse solo “non dovete muovervi, rimanete nella vostra stanza”.
E siccome lui non capiva, ripeté e ripeté.
Quella notte, dolenti le braccia, pesanti le palpebre, in bocca il sapore aspro della solitudine, chiamò a sé un sogno. Uno qualsiasi.
Il sogno giunse lieve, con profumo di mela cotogna e volto di donna. Si levò, per accoglierla, ma lei gli posò la mano leggera sul petto, un dito sulle labbra ad intimargli il silenzio.
Disteso l'attese.
Cadde la camicia bianca ai suoi piedi, e lei avvicinò la bocca umida e risoluta ai suoi occhi. Al suo ventre.
Fu solo quando danzava su di lui, la cortina dei lunghi capelli a coprire le sue mani avide sui seni bianchi, che poté udire la voce perfetta, gonfia e molle dire “amore...amore”.
Già si apprestava a riscendere la china, quando udì distintamente, il rugginoso scorrere di un chiavistello.
Chiedeva asilo.
E asilo fu.
La vecchia, prendendogli il mantello, facendogli strada, servendogli la zuppa, disse solo “non dovete muovervi, rimanete nella vostra stanza”.
E siccome lui non capiva, ripeté e ripeté.
Quella notte, dolenti le braccia, pesanti le palpebre, in bocca il sapore aspro della solitudine, chiamò a sé un sogno. Uno qualsiasi.
Il sogno giunse lieve, con profumo di mela cotogna e volto di donna. Si levò, per accoglierla, ma lei gli posò la mano leggera sul petto, un dito sulle labbra ad intimargli il silenzio.
Disteso l'attese.
Cadde la camicia bianca ai suoi piedi, e lei avvicinò la bocca umida e risoluta ai suoi occhi. Al suo ventre.
Fu solo quando danzava su di lui, la cortina dei lunghi capelli a coprire le sue mani avide sui seni bianchi, che poté udire la voce perfetta, gonfia e molle dire “amore...amore”.
RispondiEliminaInvito - italiano
Io sono brasiliano.
Dedicato alla lettura di qui, e visitare il suo blog.
ho anche uno, soltanto molto più semplice.
'm vi invita a farmi visita, e, se possibile seguire insieme per loro e con loro. Mi è sempre piaciuto scrivere, esporre e condividere le mie idee con le persone, a prescindere dalla classe sociale, credo religioso, l'orientamento sessuale, o, di Razza.
Per me, ciò che il nostro interesse è lo scambio di idee, e, pensieri.
'm lì nel mio Grullo spazio, in attesa per voi.
E sto già seguendo il tuo blog.
Forza, pace, amicizia e felicità
Per te, un abbraccio dal Brasile.
www.josemariacosta.com
Storie sempre più belle...
RispondiEliminaCiao ragazza :)
EliminaVoglia di storie, di immagini, di sogni.
Se l'amore è un'eco sfumata e mai dimenticata allora è passato da qui.
RispondiEliminaHa lasciato il suo profumo.
EliminaQuando l'hai scritto questo?
RispondiEliminaintendo in che data
spero non sia recente
Bella domanda.
EliminaDimmi perchè me la poni...