domenica 6 gennaio 2013

Il bel fiore


Un giorno -era forse una ricorrenza, un'occasione di festa- qualcuno regalò loro una piccola busta bianca. Senza biglietto, senza dedica. Ma chi poteva averla lasciata lì, in mezzo agli altri doni?

L'aprirono sorridendo, pensando fosse un gioco. Qualcosa da svelare.

In fondo, proprio in fondo all'involto, un granello nero, minuscolo.

“Cosa sarà?” , chiese l'uomo, che pensava fosse lei, quella delle risposte.

“Non saprei”, disse la donna, che quando non sapeva, non improvvisava mai.

Lo mostrarono allora ad un anziano vicino, che curava il suo orto verdeggiante con grande dedizione.

“Secondo me”, disse quello, dopo aver a lungo esaminato il granello, “si tratta di un seme. Mettetelo in terra, così scopriremo se è vero”.

Così l'uomo e la donna comperarono un vaso e della buona terra grassa. Poi, a favore di luna, posarono il semino su un letto scuro, e lo ricoprirono leggermente.

Attesero. Ogni mattina si ritrovavano sul terrazzo e osservavano. Spesso, ancora scalzi e spettinati, con una tazza di caffè tra le mani, imbastivano storie nuove, o ricordavano episodi del passato, così, come mai avevano fatto. Immaginavano, sognavano. Ridevano spesso, appresso a quel vaso silente.

Fu l'uomo a vedere per primo il virgulto verde, tenero, un mattino di quelli, e subito chiamò la donna, con voce rotta, gesti scomposti.

“Svelta, svelta, vieni in fretta, corri”, come se l'oggetto di tanto entusiasmo avesse potuto andarsene così, come era venuto.

Lei guardò, poi premette con l'indice la terra tutt'intorno, e disse solo “eccolo, finalmente”.

L'uomo e la donna innaffiarono. Ogni giorno. Ed ogni giorno il rituale delle storie, dei ricordi, delle parole fresche e mai udite, si ripeteva, come un miracolo.

“Ti ho mai detto che...”, oppure “ho sognato...”, o ancora “sarebbe così bello se...”. Uno parlava, l'altro ascoltava. Uno estraeva, l'altro accoglieva.

E sotto la luce di quel dire, di quel sognare, la piantina crebbe dritta, forte. Uno stelo sicuro, verde brillante, che puntava dritto al cielo.

Ora, anche nel pomeriggio dopo il lavoro tornavano al terrazzo. A volte, si tenevano per mano e tacevano. Altre, raccontavano. E raccontando si stupivano, perché ogni cosa detta, lì al cospetto di quello stelo, si tingeva di attese, allegrie, nostalgie, promesse.

Non tardò. Prese tutto il tempo che gli serviva, ma non tardò. Un bel giorno di ottobre un bocciolo bagnato, che già spandeva un leggero profumo, li ripagò di ogni sguardo, di ogni sospiro.

“Ma è autunno”, disse l'uomo “come farà a sopravvivere?”.

Lei, che non aveva risposte, disse semplicemente: “è appena nato, non sappiamo neppure che colore avrà”.

E si aprì. Con la lentezza dolce delle cose belle.

Si aprì e si schiuse, un petalo dopo l'altro.

Era il più bel fiore mai visto.

Trascorsero ore ed ore sul terrazzo, finendo per passarci qualche notte, abbracciati, stretti nella coperta. Vegliavano.

Cercavano di non sciuparlo, di non toccarlo troppo, ma annusavano voluttuosamente, per trattenere il profumo delicato, che a nessun altro profumo somigliava.

E sempre, sempre le parole. Ma parole inventate per lui, nuove, nate lì. Parole per tenerlo in vita.

Un mattino, dopo una notte inquieta, la donna si levò presto, prima dell'uomo.

E come sempre faceva portò, ancora tiepida di sonno, un saluto al suo bel fiore. Albeggiava.

Se ne accorse subito. Bisognava guardar bene, avvicinarsi molto, spostare gli altri petali. Bisognava conoscerlo il fiore, sapere che era stato di una bellezza fulgida e perfetta, senza segni. Ma era evidente: un petalo stava ingiallendo.

La donna portò una mano al cuore e fece un passo indietro. Provò a fare ordine nei pensieri, ma sentiva solo paura. E strazio.

Allora agì ascoltando il suo dolore. Si disse solo che non voleva, non poteva guardar morire il fiore un poco alla volta.

E raccolte le grosse cesoie, lo recise. Alla base.

Pianse, lacrime spesse e pesanti, che rotolavano giù, bagnando il bel fiore.

Poi raggiunse l'uomo, ancora addormentato. Lo abbracciò lieve, ascoltando i piccoli rumori del sonno, raccogliendo il calore del suo corpo.

“Buongiorno”, disse lui accarezzandola.

“Buongiorno. Voglio raccontarti una storia”.

E raccontò.

15 commenti:

  1. Sherazade raccontava storie per non morire....

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  2. Ancora Grazie.
    Al poeta e a Jo, lo scrittore.
    Scrivere tiene vivi. E' per me respiro e abbraccio.

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  3. Mal'hai scritta tu?
    mi piace,
    l'ho detto che è un bel posticino questo qui!
    Ciao

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  4. Di sicuro l'hai scritta tu! :)

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    1. Mario ha riconosciuto lo stile "sensibile"... :)))))))))

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  5. È un racconto semplicemente delizioso, di quelli che scaldano il cuore.

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  6. Mi piace pensare a quel uomo che accoglierà il racconto della donna...
    tua amica affettuosa (anche ortolana ecc. ecc.)

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    1. Credo sia un uomo speciale...che accoglie e sa trasformare...

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