Un
giorno -era forse una ricorrenza, un'occasione di festa- qualcuno
regalò loro una piccola busta bianca. Senza biglietto, senza dedica.
Ma chi poteva averla lasciata lì, in mezzo agli altri doni?
L'aprirono
sorridendo, pensando fosse un gioco. Qualcosa da svelare.
In
fondo, proprio in fondo all'involto, un granello nero, minuscolo.
“Cosa
sarà?” , chiese l'uomo, che pensava fosse lei, quella delle
risposte.
“Non
saprei”, disse la donna, che quando non sapeva, non improvvisava
mai.
Lo
mostrarono allora ad un anziano vicino, che curava il suo orto
verdeggiante con grande dedizione.
“Secondo
me”, disse quello, dopo aver a lungo esaminato il granello, “si
tratta di un seme. Mettetelo in terra, così scopriremo se è vero”.
Così
l'uomo e la donna comperarono un vaso e della buona terra grassa.
Poi, a favore di luna, posarono il semino su un letto scuro, e lo
ricoprirono leggermente.
Attesero.
Ogni mattina si ritrovavano sul terrazzo e osservavano. Spesso,
ancora scalzi e spettinati, con una tazza di caffè tra le mani,
imbastivano storie nuove, o ricordavano episodi del passato, così,
come mai avevano fatto. Immaginavano, sognavano. Ridevano spesso,
appresso a quel vaso silente.
Fu
l'uomo a vedere per primo il virgulto verde, tenero, un mattino di
quelli, e subito chiamò la donna, con voce rotta, gesti scomposti.
“Svelta,
svelta, vieni in fretta, corri”, come se l'oggetto di tanto
entusiasmo avesse potuto andarsene così, come era venuto.
Lei
guardò, poi premette con l'indice la terra tutt'intorno, e disse
solo “eccolo, finalmente”.
L'uomo
e la donna innaffiarono. Ogni giorno. Ed ogni giorno il rituale delle
storie, dei ricordi, delle parole fresche e mai udite, si ripeteva,
come un miracolo.
“Ti
ho mai detto che...”, oppure “ho sognato...”, o ancora “sarebbe
così bello se...”. Uno parlava, l'altro ascoltava. Uno estraeva,
l'altro accoglieva.
E
sotto la luce di quel dire, di quel sognare, la piantina crebbe
dritta, forte. Uno stelo sicuro, verde brillante, che puntava dritto
al cielo.
Ora,
anche nel pomeriggio dopo il lavoro tornavano al terrazzo. A volte,
si tenevano per mano e tacevano. Altre, raccontavano. E raccontando
si stupivano, perché ogni cosa detta, lì al cospetto di quello
stelo, si tingeva di attese, allegrie, nostalgie, promesse.
Non
tardò. Prese tutto il tempo che gli serviva, ma non tardò. Un bel
giorno di ottobre un bocciolo bagnato, che già spandeva un leggero
profumo, li ripagò di ogni sguardo, di ogni sospiro.
“Ma
è autunno”, disse l'uomo “come farà a sopravvivere?”.
Lei,
che non aveva risposte, disse semplicemente: “è appena nato, non
sappiamo neppure che colore avrà”.
E
si aprì. Con la lentezza dolce delle cose belle.
Si
aprì e si schiuse, un petalo dopo l'altro.
Era
il più bel fiore mai visto.
Trascorsero
ore ed ore sul terrazzo, finendo per passarci qualche notte,
abbracciati, stretti nella coperta. Vegliavano.
Cercavano
di non sciuparlo, di non toccarlo troppo, ma annusavano
voluttuosamente, per trattenere il profumo delicato, che a nessun
altro profumo somigliava.
E
sempre, sempre le parole. Ma parole inventate per lui, nuove, nate
lì. Parole per tenerlo in vita.
Un
mattino, dopo una notte inquieta, la donna si levò presto, prima
dell'uomo.
E
come sempre faceva portò, ancora tiepida di sonno, un saluto al suo
bel fiore. Albeggiava.
Se
ne accorse subito. Bisognava guardar bene, avvicinarsi molto,
spostare gli altri petali. Bisognava conoscerlo il fiore, sapere che
era stato di una bellezza fulgida e perfetta, senza segni. Ma era
evidente: un petalo stava ingiallendo.
La
donna portò una mano al cuore e fece un passo indietro. Provò a
fare ordine nei pensieri, ma sentiva solo paura. E strazio.
Allora
agì ascoltando il suo dolore. Si disse solo che non voleva, non
poteva guardar morire il fiore un poco alla volta.
E
raccolte le grosse cesoie, lo recise. Alla base.
Pianse, lacrime spesse e pesanti, che rotolavano giù, bagnando il bel fiore.
Poi
raggiunse l'uomo, ancora addormentato. Lo abbracciò lieve,
ascoltando i piccoli rumori del sonno, raccogliendo il calore del suo
corpo.
“Buongiorno”,
disse lui accarezzandola.
“Buongiorno.
Voglio raccontarti una storia”.
E
raccontò.
Straordinario.
RispondiEliminaGrazie Marco... :)
RispondiEliminamolto ma molto bello
RispondiEliminaSherazade raccontava storie per non morire....
RispondiEliminaAncora Grazie.
RispondiEliminaAl poeta e a Jo, lo scrittore.
Scrivere tiene vivi. E' per me respiro e abbraccio.
Mal'hai scritta tu?
RispondiEliminami piace,
l'ho detto che è un bel posticino questo qui!
Ciao
Yes, è mia... :)
Eliminaveramente piacevole!
RispondiEliminaBè, anche venire dalle tue parti lo è... :)
EliminaDi sicuro l'hai scritta tu! :)
RispondiEliminaMario ha riconosciuto lo stile "sensibile"... :)))))))))
EliminaÈ un racconto semplicemente delizioso, di quelli che scaldano il cuore.
RispondiEliminaIl tuo primo commento... :)
EliminaBenarrivata. Un tè? :)
Mi piace pensare a quel uomo che accoglierà il racconto della donna...
RispondiEliminatua amica affettuosa (anche ortolana ecc. ecc.)
Credo sia un uomo speciale...che accoglie e sa trasformare...
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