Uno spazio enorme, capannoni e strutture in mezzo al verde. Alberi,
rose selvatiche, vegetazione che pian piano si mangia i colori, le
porte, la strada lastricata.
Entrare sembra difficile, invece.
Invece basta sollevare un po' il cancello e richiuderselo alle spalle.
"Vietato l'ingresso".
Aggirandosi tra le costruzioni pare di sentire ancora acuti i
versi degli animali: le rotaie arrivavano fino al primo hangar e appena
fuori i ganci sospesi trasportavano i quarti.
C'è nell'aria qualcosa.
Sbuca un ragazzo asiatico, guarda, si nasconde. Cosa ci fa qui?
Poi, dietro qualche finestra, qualche portone, giacigli improvvisati, coperte, cuscini. Ci vive della gente.
Come
se, in questo spazio che sa ancora di morte, la vita si fosse
insinuata. Un cespuglio fiorito, una lattina di birra sul davanzale, i
piccioni e i gatti, re indiscussi.
Poi questa gente, sradicata e sola, che sa prendere sonno tra il razzolare dei ratti e il vicino sferragliare del treno.
Un tempo altrove, in viaggio, al di là di un vecchio cancello.
Ora, ne ho più voglia di prima.
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