Scrivere
era per me salvifico.
Non
dico nulla di nuovo, né di illuminante, lo so. Ma quella bambina di
otto anni che narra provando gioia, piacere, che naviga leggera nei
suoi luoghi di parole, continua a sorprendermi.
Il
breve racconto di una famiglia povera e numerosa (alquanto
lacrimevole e poco credibile), in cui i protagonisti scalzi e
malvestiti si muovevano su uno sfondo di infinita tenerezza e amor
filiale, strideva fortemente con il mio mondo di matrigne, affidi e
divorzi. Eppure mi valse la menzione d'onore.
Ecco
la piccola maestra Anita che legge nell'atrio della scuola il mio
scritto. Ecco i compagni, muti e attenti, che entrano a cavallo delle
parole nella fredda, misera bicocca, tra le scodelle di latte fumante
e i tanti fratellini seduti intorno al fuoco.
Sublimavo?
Forse.
Ma
in questo sublimare c'era, e lo sento con chiarezza, una spasmodica
voglia di plasmare vite, volti, odori, per me inesplorabili.
Il
grandissimo e compianto Loris Malguzzi, ci ricorda che il bambino è
fatto di cento. “Cento
lingue, cento mani, cento pensieri, cento modi di pensare
di
giocare e di parlare. Ma gliene rubano novantanove.”
Nessun commento:
Posta un commento