Un ragazzino dodicenne, che conosco piuttosto da vicino, non sta bene.
Indagano, lo esplorano, ma le prospettive sono poco rosee. Si attende l'esito di un esame decisivo.
E' un'anima lunga lunga, ha messo su venti centimetri in pochi mesi e adesso sembra sciupato, pallido, come accade spesso a quell'età.
Oggi lo guardavo ridere, giocare, portarsi addosso le braccia smisurate, il sorriso acerbo, la voce stridula che promette già parole adulte, grevi e impegnate o innamorate e insensate, discorsi tra amici al bancone di un bar.
Gli è dovuto tutto questo. Gli è dovuto ubriacarsi, fare l'amore, viaggiare, nuotare di notte, piangere per una donna, per una vetta conquistata, per un abbraccio ritrovato.
Ho voluto chiedere un favore. Non so come, non so a chi. Io ci ho provato.
Per favore.
Per una mamma ed un papà che oggi avevano gli occhi vuoti. Per un bambino che sta crescendo. Per la sua voglia di respirare e vedere e sognare. E anche per me: mi sono sentita perduta.
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